Proprio mentre l'Egitto va rapidamente ribaltando e annullando tutte le misure di "appeasement" filoisraeliano imposte da Sadat e dal suo successore Mubarak nel corso degli ultimi 32 anni il popolo giordano scende in piazza dopo le preghiere del venerdì e fa capire chiaramente alla corte Hascemita che non ci sta a rimanere l'unico paese arabo a mantenere rapporti con Israele, Stato del quale la maggior parte dei cittadini giordani non ha certo intenzione di riconoscere come entità legittima e tantomeno col quale vorrebbe intessere relazioni o legami di alcun tipo.
Ieri in tutto il paese, dalla capitale Amman fino alla provincia di Tafileh, la popolazione ha rimarcato la necessità di cancellare il trattato di pace con lo Stato ebraico voluto dal piccolo Re Hussein e ha altresì domandato le dimissioni del Primo Ministro Marouf Bakhit, succeduto al suo predecessore Al-Rifai meno di quattro mesi orsono proprio a causa di massicce proteste popolari che minacciavano di replicare nell'ex-Transgiordania la Rivoluzione egiziana anti-Mubarak.
Il tentativo di riforma dall'alto però, sembra essersi impantanato tra le attività di un Premier ex-generale che non riscuote molta popolarità tra gli abitanti e i balbettii di una commissione costituzionale (di nomina regia) che non riesce a cavare un ragno dal buco, anche perché la struttura costituzionale della Giordania é studiata per lasciare grande discrezionalità al monarca sotto gli orpelli e i paramenti esteriori della "democrazia" occidentale e una seria riforma sarebbe dunque inaccettabile per la corte, visto che marginalizzerebbe la figura del re e lascerebbe campo libero al partito di ispirazione religiosa Fronte Islamico d'Azione, filiato dalla branca locale della Fratellanza Musulmana, che riscuote il favore della maggior parte degli elettori.
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