Ancora una volta ospitiamo uno scritto di Ali Reza Jalali, che ci vantiamo di annoverare ormai tra i collaboratori fissi di questo blog giornalistico e informativo. Il giurista ed esperto di cose mediorientali ci elargisce oggi le sue riflessioni su 'chi ha vinto e chi ha perso' nel recente confronto militare a Gaza.
Apparentemente si è raggiunto un accordo per un cessate il fuoco tra i sionisti e la resistenza palestinese; ciò vuol dire in primo luogo che la nuova e imprevedibile forza strategica dei gruppi armati della Striscia di Gaza (Brigate Ezzeddin Qassam, Brigate Al-Quds, Brigate Salah ad-Din e Brigate Abu Ali Mustafa) ha costretto il regime di Tel Aviv alla resa e alla rinuncia per ciò che concerne l’avanzata di terra.
Infatti i razzi di produzione iraniana che
hanno colpito Tel Aviv e Gerusalemme, facendosi beffa del tanto vantato sistema antimissilistico Iron Dome, han fatto capire ai sionisti che un inasprimento della loro offensiva sarebbe stato punteggiato da ulteriori rappresaglie. Il regime di occupazione infatti, da qualche anno si trova in una posizione molto difficile, che cercava di essere alleggerita grazie al complotto imperialista-sionista-arabo contro la Siria di Assad, uno dei principali sponsor della resistenza antisionista a Gaza. Se la guerra fosse andata "come doveva" i principali arsenali della Resistenza sarebbero stati colpiti subito dopo l'assassinio del leader delle Brigate Qassam, 'Iron Dome' avrebbe fermato i pochi razzi scampati al 'first strike' e dopo una breve e violenta campagna aerea i Merkava e i Sabra dell'IDF avrebbero nuovamente sfondato le frontiere di Gaza, seminando morti a migliaia come quattro anni fa.
Ma la realtà si é incaricata di andare in direzione del tutto diversa, cosa che ha convinto Netanyahu ad approfittare della prima 'scappatoia' offertagli dall'alleato Usa in collaborazione con l'Egitto di Mursi e mettere la parola fine su un'avventura che rischiava di costargli moltissimo in prospettiva elettorale (e non é per nulla detto che non gli costi effettivamente parecchio).
Bisogna notare anche il fatto che la posizione di alcuni leader di Hamas come K. Meshaal, dichiaratosi sostenitore dei ribelli siriani, abbia tuttavia affermato apertamente che senza le armi e i soldi dell’Iran Gaza non esisterebbe più. Questo è un duro colpo anche per l’asse del collaborazionismo mediorientale, formato da Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Se Meshaal, uno dei loro nuovi uomini fidati, deve ammettere che l’aiuto dell’Iran, alleato della Siria, è fondamentale per l’esistenza di Gaza contro i sionisti, ciò è un’implicita ammissione del fallimento non solo dei piani sionisti, ma anche della poca credibilità dell’Emiro al-Thani e di Erdogan dinnanzi ai loro stessi alleati.
L'Iran ha confermato esplicitamente il suo appoggio ai palestinesi: "Teheran ha messo in guardia gli Stati Uniti e gli alleati occidentali del regime israeliano dal compiere una nuova aggressione" dato che "l'Iran continuerà a sostenere la Resistenza palestinese". Secondo quanto riferito dall'emittente statale iraniana Press Tv, il generale di brigata Mohammad Reza Naqdi, comandante della forza dei volontari iraniani "Basiji", ha dichiarato che "siamo pronti ad aiutare la gente a Gaza e non negheremo sostegno finanziario o qualsiasi attrezzatura che siamo in grado di fornire loro". Ieri l'Iran aveva ufficializzato infatti che l'appoggio a Gaza è anche di natura "militare", in particolare attraverso la fornitura di know how per la costruzione dei nuovi Fajr-5 che, per la prima volta, hanno esposto le principali città israeliane agli attacchi di rappresaglia.
Evidentemente i Palestinesi, anche quelli più anti-Assad, stanno capendo che l’aver dato per scontata la caduta di Damasco è stato un errore. Detto ciò però sappiamo bene come Hamas nella sua grande maggioranza (principalmente ci riferiamo al braccio politico, non al braccio armato ancora fedele all’Asse della Resistenza), ormai abbiamo svoltato verso la linea turca, ovvero antisionismo a parole, e filoimperialismo nei fatti. Addirittura alcuni analisti ipotizzano che il Hamas possa diventare un po’ troppo politico, fino magari, in futuro, un ipotetico nuovo processo di Oslo, forse con Haniyeh al posto del vecchio Arafat.
In tutto ciò notiamo inoltre la passività di Abu Mazen, sparito dalla disputa, e l’inerzia della Turchia, da alcuni, il cui corso 'neo ottomano' qualche anno fa aveva portato alcuni osservatori a definirlo, troppo frettolosamente, come il paese emergente del mondo islamico. Sul campo di battaglia invece, abbiamo apprezzato la grande preparazione strategica dei cosiddetti gruppi minori palestinesi, coma la Jihad islamica e il PFLP-GC di A. Jibril. Questi movimenti quando si tratta di parole e di “trattati di pace” non sono molto attivi, ma quando c’è da combattere, in virtù del loro stretto legame con i Paesi rivoluzionari della regione come la Siria e l’Iran, per non dire del fraterno legame con Hezbollah, essi si dimostrano sempre all’avanguardia, e non sono nemmeno influenzabili economicamente, come invece è accaduto ad altri gruppi palestinesi, pronti sempre a svendersi per il biblico piatto di lenticchie.
Addirittura i media italiani filosionisti si sono accorti di ciò. Il sito de “La Stampa” di Torino (proprietà dei sionisti Elkann) riporta: “la Jihad Islamica, fortemente ideologizzata e dunque meno sensibile ai tanti soldi del Qatar, non ha sul lungo termine alcuna intenzione di raggiungere la pace con Israele.” Per non dire del grande impegno dei resistenti delle Brigate Salah ad-Din e del gruppo di Ahmed Jibril, uno dei pochi della vecchia guardia palestinese a non aver tradito il suo popolo e la Causa rivoluzionaria.
Infine un commento anche sull’operato del regime di Riyadh; qualcuno ha sentito qualche reazione dei regnanti sauditi?
Sembrano essere spariti, anche se, purtroppo per noi, ciò non è avvenuto, comunque il loro ruolo “rivoluzionario” in Siria, in Palestina sembra del tutto assente. Al massimo possono pensare di sostenere i salafiti di Gaza o di Beirut, sempre pronti a dar fastidio ai gruppi della Resistenza, come omaggio ai loro alleati di Tel Aviv. E Gaza si prepara, a Dio piacendo, ad alcune notti tranquille, per modo di dire, visto che l’assedio, malgrado la caduta di Mubarak continua ininterrotto.
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