Ali Abdullah Saleh, il tiranno yemenita in esilio a Ryiadh dopo l'attentato esplosivo che lo ha coinvolto lo scorso giugno, ha annunciato tramite il suo portavoce Ahmed al-Soufi che non ha nessuna intenzione di acconsentire alle dimissioni richieste dal fronte unito delle opposizioni che coordinano le massicce proteste in corso dall'inizio dell'anno nel paese della Penisola arabica. La dichiarazione sembra mettere una pesantissima ipoteca su ogni prospettiva di dialogo tra le parti giacché gli oppositori insistono sul fatto che l'ex-'uomo forte' di Sanaa debba dimettersi prima delle nuove elezioni parlamentari e presidenziali.
Il consigliere Al-Soufi, da parte sua, ha accusato il Consiglio dei partiti d'Opposizione di non volere il dialogo. Le dichiarazioni di Saleh, mediate dal suo collaboratore, arrivano un giorno dopo l'affermazione di parte saudita che il Vicepresidente Rabbo Mansour Hadi sarebbe stato pronto a firmare l'accordo proposto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, in un certo senso 'tagliando fuori' il suo superiore dai processi di passaggio del potere in Yemen.
Intanto, nell'usuale silenzio degli ipocriti mezzi di comunicazione occidentali, una vera e propria strage si é consumata nel corso del week-end, con oltre 13 manifestanti, tra cui un militare passato con l'opposizione, uccisi tra Sanaa e la città meridionale di Taizz. Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, ha chiesto al Governo yemenita di cessare le violenze contro la popolazione e liberare tutti i detenuti politici. Milioni di cittadini sono scesi in piazza venerdì e nelle giornate successive, chiedendo un'accelerazione delle attività di protesta e il rifiuto di ogni compromesso con il regime di Saleh.
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