Questo video commemorativo mostra, tra il minuto 1:09 e il 2:47, il messaggio registrato di Khaled.
Continuando nella serie di articoli commemorativi dei martiri libanesi della vittoriosa guerra contro Israele, nel quinto anniversario del loro sacrificio, parliamo oggi di Khaled Ali Abdullah, nato il primo gennaio del 1970 nel villaggio di Qelyiah, nella valle della Bekaa e battezzato con uno dei nomignoli del presidente egiziano Gamal Nasser (che veniva appunto chiamato anche Abu Khaled) per volontà del padre, che ammirava molto lo statista del Cairo. Khaled crebbe nel suo villaggio, abituandosi fin da bambino a svegliarsi all'alba col padre e seguirlo nei campi, aiutandolo nel lavoro fino all'ora di scuola, per poi proseguire una volta rientrato a casa. Nel tempo libero amava fare escursioni nel circondario e dare la caccia alle quaglie selvatiche con l'amico Fidaa Mady, cui il Destino riservava a sua volta il sudario del martire.
La vita del giovane Khaled venne sconvolta dall'invasione sionista del 1982, quando l'avanzata degli attaccanti costrinse la sua famiglia a trasferirsi a Mashghara, dove il ragazzo fece la conoscenza di Abu Hasan Bajiji, già allora rinomato leader della Resistenza, che lo sensibilizzò al cammino della lotta illuminato dall'ispirazione religiosa, un approccio relativamente innovativo in un periodo in cui quasi tutte le forze militari e politiche attive in libano avevano un'ispirazione e un'ideologia secolare e mondana (comunista, socialista, fascista, nazionalista...).
Nel 1987 Khaled entrò nei ranghi della Resistenza sciita di Hezbollah, pur senza trascurare i suoi studi e il suo perfezionamento, tanto che nel 1990, nello stesso anno in cui entrava in vigore la Tregua di Ta'if, conseguiva il baccellorato in Ingegneria Elettrica, un campo in cui si era sempre distinto grazie al suo temperamento ragionatore, pacato e preciso. La sua calma, la sua ragionevolezza, lo rendevano ammirato da parenti e conoscenti e, raccontano i familiari, rivolgersi a lui per comporre un diverbio o ricevere un parere spassionato su una questione era diventata quasi una tradizione.
La passione per le escursioni, la pesca e la caccia non lo abbandonarono mai e, sempre vivendo a Mashgara, organizzò un gruppo scout per i bambini del circondario, a cui si sforzò di trasmettere i valori inculcatigli da Bjaiji prima e da Hezbollah poi. Coloro che frequentarono il gruppo sotto la sua tutela lo ricordano come un leader cortese, che non aveva mai bisogno di alzare la voce e che guidava con l'esempio e il sorriso. Nel 2006, rispondendo alla chiamata alle armi per difendere il Libano, Khaled Ali Abdullah trovò la morte sotto un bombardamento sionista, insieme al camerata Arwa Swaidan e alla di lui madre, che stava preparando ai due uomini qualcosa da mangiare durante un loro breve soggiorno nel villaggio di Yater.
Qualcuno dei nostri lettori potrà trovare "strano" celebrare la memoria di un martire che é morto colpito da un attacco aereo senza poter nemmeno esplodere un colpo contro i suoi uccisori ma, nella via e nella mentalità di Hezbollah un martire va onorato a prescindere e non solo se compie gesta 'eroiche' uccidendo molti nemici prima di cadere; un martire non è un "rambo" come nella vulgata sensazionalistica dei media e dell'intrattenimento occidentale, un martire é un testimone e, con il suo impegno, la sua saggezza e la sua opera di tutta la vita, probabilmente Khaled Ali Abdullah ha lasciato un retaggio molto più profondo e prezioso che non se avesse 'soltanto' ucciso molti israeliani o distrutto molti loro mezzi e carri armati.
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