Ancora una volta ospitiamo sulle nostre pagine le profonde e ponderate riflessioni di Ali Reza Jalali, giovane ma valido giurista, esperto di Medio Oriente, Iran e varie problematiche riconducibili alla cultura islamica in Europa e nei paesi musulmani, i cui scritti abbiamo sovente pubblicato e segnalato nel passato più o meno recente.
La sempre mutevole situazione
delle alleanze mediorientali ci pone nuovamente dinnanzi a un
cambiamento, forse fino a qualche mese fa non proprio atteso. Avevamo
notato come la primavera araba avesse modificato gli equilibri
regionali: ad esempio era saltato completamente il progetto più volte caldeggiato dagli iraniani e dai siriani di un blocco vicinorientale tra Iran, Iraq, Siria e Turchia. Soprattutto la guerra siriana, che
insanguina il paese governato da Assad, scatenata nel 2011 aveva portato
a delineare due blocchi solidi, almeno apparentemente. Da un lato un
asse turco-saudita-qatariota, a sostegno della galassia islamista
sunnita, dai Fratelli Musulmani alle fazioni salafite più estremiste,
fino ai palestinesi di Hamas, in antitesi all’asse siro-iraniano,
coadiuvato dai libanesi di Hezbollah e dal governo sciita iracheno.
Un nuovo spartiacque
mediorientale però, è stato rappresentato dal golpe che ha estromesso dal governo egiziano i Fratelli Musulmani, colpo di stato questo guidato dal generale El-Sisi, ai danni di Mohamed Morsi. Da qui nasce una
spaccatura forte all’interno del fronte turco-saudita-qatariota, in
quanto fin da subito si capisce che El-Sisi ha l’appoggio esplicito
delle monarchie del Golfo Persico, tranne del Qatar, fedele finanziatore
e alleato dei Fratelli Musulmani. Insomma, soprattutto oggi che El-Sisi è diventato presidente dell’Egitto attraverso delle elezioni presidenziali, caratterizzate da una bassa affluenza alle urne, ma che
comunque è in linea con la storia recente egiziana – tutto sommato non è
che Morsi fosse stato eletto con una percentuale di votanti memorabile –
l’Egitto conferma la sua alleanza coi sauditi e con gli emiri del Golfo
Persico, gli unici presenti durante la cerimonia di insediamento di
El-Sisi, tra i capi di stato e di governo più importanti della regione.
Proprio dalla cerimonia di
insediamento di El-Sisi si comprendono i nuovi equilibri regionali: il
generale non ha invitato, come era prevedibile, i turchi e i qatarioti,
ma a sorpresa ha invitato il presidente iraniano Rohani, che non aveva
mai speso parole di elogio per i militari egiziani. Un’altra sorpresa –
probabilmente ciò deriva dal fatto di non voler mettere in imbarazzo i
sovrani del Golfo Persico, da tre anni impegnati in una pesante campagna
anti-Assad – è stata l’esclusione dagli invitati del presidente
siriano, col quale sembrava essersi istaurato un feeling, in funzione
anti-Fratellanza Musulmana.
Da ciò emerge quanto segue: la
regione si è nuovamente polarizzata su due assi, al momento antitetici
tra loro, ovvero quello turco-qatariota (che continuano a essere i
principali sponsor dei Fratelli Musulmani e delle varie succursali di
questa formazione), con quest’ultimo attore regionale molto
ridimensionato, e quello egiziano-saudita. Un terzo polo al momento,
forse mediano tra i due estremi, ed è questo il fattore principale di
continuità con l’ordine mediorientale post-primavera araba, rimane
quello basato sull’asse Damasco-Tehran-Hezbollah.
Interessante notare il ruolo
iraniano in tutto ciò; all’indomani dell’invito di El-Sisi, confermato
anche dalle fonti di Tehran, il presidente iraniano rivela la sua
intenzione di fare un viaggio in Turchia, proprio pochi giorni dopo
l’arrivo nella capitale iraniana dell’emiro del Kuwait, uno degli
sponsor di El-Sisi. Tehran sembra al momento preferire una tattica
attendista, mediana rispetto alla nuova polarizzazione regionale.
In tutto ciò la tattica di
Tehran è simile a quella di Tel Aviv. Il governo israeliano, nonostante
il sostegno mediatico al golpe di El-Sisi, non è stato invitato da
quest’ultimo alla cerimonia di insediamento. Anche gli israeliani stanno
a guardare senza eccessive prese di posizione, se non per le solite
esternazioni dell’esecutivo di Tel Aviv di condanna dell’Iran, della
Siria, di Hezbollah e della riconciliazione palestinese.
A questo punto era meglio se si tenevano il caro Hosni, avrebbero risparmiato tempo soldi e vite umane.
RispondiEliminaSu al sisi io ci speravo ancora ma dopo che x la seconda volta ha gratificato pubblicamente in un suo discorso il re saudita penso che x l'egitto non solo ci sia più speranza. Intanto arabia saudita e gli UAE stanno già predisponendo un nuovo esorbitante numero di dollari da inviare al loro nuovo alleato. Che tristezza!
Secondo me é troppo presto per giudicare, Al-Sisi ha comunque invitato Rohani al Cairo...é stato il primo capo di Stato egiziano a ospitare una carica così alta della Repubblica Islamica...
EliminaAnch'io ci speravo in Sisi, e in parte ci spero tutt'ora, ma è proprio questo che non capisco. indubbiamente è in buoni rapporti con i sauditi e con alcuni paesi del Golfo, da cui riceve sostegno finanziario, però tiene rapporti ufficiali anche con Mosca, con cui tratta per l'apertura di un eventuale base navale nel Mediterraneo, e con cui ha firmato contratti di fornitura per armi. Al-Sisi era il direttore del dipartimento dell’intelligence militare e della ricognizione del paese, di cui come rappresentante ha ricoperto l'incarico di addetto militare in Arabia Saudita. Ha buoni collegamenti con i vertici delle forze armate saudite e di numerosi altri paesi arabi, in particolare con quelle della Siria. Quando gli Usa gli ha voltato le spalle, al-Sisi, grazie alla sua autorità, ha potuto ottenere una generosa assistenza finanziaria dai Paesi del Golfo Persico. In Egitto la fiducia popolare per al-Sisi, oggi è eccezionalmente alta. È sostenuto dalle minoranze religiose [i copti egiziani, circa 8-10 milioni, lo sostengono all’unanimità.], dai funzionari di governo e militari, ma è supportato anche dalla maggioranza della gente comune dei musulmani devoti che vedono in al-Sisi la reincarnazione di Nasser, un uomo che impose la giustizia sociale nella società. La ex-élite è dalla sua parte; Ad esempio, l’ex presidente Mubaraq ha dichiarato, in un’intervista ad al-Arabiya, che il popolo egiziano sostiene al-Sisi. In Egitto la sua popolarità di al-Sisi è così alta che ci sono manifesti con il suo ritratto ovunque, spesso insieme a Nasser e talvolta con Vladimir Putin. I fratelli musulmani, non potendo quasi più organizzare grosse proteste, ricorrono agli attentati di terrorismo, perchè con al-Sisi le istituzioni dello stato si sono rafforzate, e anche la situazione interna è più stabile, nonostante qualche attentato terroristico. Bisogna riconoscere che al-Sisi ha risparmiato all'Egitto, ciò che è successo in Libia. Vedremo in futuro come imposterà il suo mandato presidenziale.
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