Abbiamo già a lungo parlato delle discriminazioni razziste di cui sono vittime, nel regime ebraico dell'Apartheid, gli immigrati di origine africana; oggi dobbiamo registrare come, in un'entità nata dal crimine dell'invasione e della Nakba, sia facilissimo compiere i più mostruosi e abietti reati contro la Persona, fidando proprio nella diffusa impunità garantita da un regime esso stesso frutto del più marchiano e basilare disconoscimento dei Diritti della Persona e, ancora una volta, le vittime di questi crimini sono di nuovo immigrati dal Continente Nero.
Secondo quanto riportato dai media sionisti una serie di circostanziate accuse mosse da esponenti della comunità beduina del Sud-Negev hanno portato all'arresto di un cittadino sionista colpevole di ricatti per dozzine di migliaia di dollari ai danni di famiglie immigrate eritree e sudanesi che, dopo essersi rivolte alla sua organizzazione mafiosa per "contrabbandare" nel paese parenti e amici li vedevano poi trattenuti come ostaggi dai complici del ricattatore che per mesi pretendeva pagamenti regolari di fronte alla minaccia di abbandonare il malcapitato nelle mani delle autorità israeliane (use a sparare a chi si avvicina al confine), ucciderlo oppoure prelevargli un rene o un polmone per alimentare il traffico di organi di cui Israele é l'indiscusso capoluogo mondiale.
I beduini, che abitualmente nomadizzano tra il Negev e il Sinai, erano al corrente dei movimenti e delle attività dell'uomo e dei suoi complici e non hanno tardato a infomrare le autorità di quanto andava accadendo sotto i loro occhi. Per anni le ONG umanitarie internazionali hanno pregato e invitato Israele a rivedere la sua politica dello "sparare a vista" contro tutti coloro che si avvicinano al confine dol Sinai.
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