domenica 7 novembre 2010
Israele si auto-isola interrompendo la cooperazione con l'UNESCO
Il governo di Israele ha annunciato che interromperà le relazioni e la cooperazione con l'UNESCO, l'agenzia delle Nazioni Unite dedita a progetti educativi, scientifici e culturali. La decisione é stata annunciata dal vice del Ministro degli Esteri israeliano, l'ultranazionalista di estrema destra Avigdor Lieberman, propugnatore del piano di pulizia etnica teso a "ebraicizzare" Gerusalemme cancellandone l'identità araba cristiana e musulmana.
Il "casus belli" che ha portato alla virulenta e incendiaria reazione sionista é, come già riportato su queste pagine, la ineccepibile decisione dell'UNESCO di includere le moschee di Ibrahimi e di Bila ibn Rabah nella lista dei suoi "luoghi protetti", catalogandole come "siti di interesse culturale Palestinese e musulmano". Sono moschee, di che interesse dovevano essere, marziano?
Ma ovviamente i sionisti contestano questa classificazione non perché pignolamente preoccupati della precisione delle guide turistiche o delle cartoline che verranno vendute ai turisti, ma perché OGNI riconoscimento di una identità etnica, religiosa e culturale che non sia quella della "razza superiore" ebraica collide violentemente coi loro propositi di evacuazione e "repulisti" di Gerusalemme.
Nella sua dichiarazione ufficiale Danny Ayalon dice: "Israele si trova costretto(sic) a interrompere le sue relazioni con l'UNESCO fino a che questa non riconsidererà le proprie decisioni sui luoghi in questione", e prosegue dichiarando che la decisione dell'agenzia altro non sarebbe che "un nuovo tentativo di delegittimare Israele, impedendo il processo di pace (quale?) e danneggiando la sua (dell'UNESCO) reputazione".
Nel suo meeting esecutivo del 20 ottobre scorso tutti i membri dell'organizzazione ONU hanno votato a favore di cinque risoluzioni che condannano i piani di sionistizzazione di Gerusalemme, stigmatizzano la minaccia che tali piani pongono all'identità storica e culturale della città e altresì lanciano l'allarme sulla deteriorazione del clima culturale di Gaza e della Cisgiordania, le cui popolazioni soffrono l'una per l'assedio israeliano, l'altra per le continue angherie a opera di esercito, polizia e coloni ebrei fanatizzati e violenti.
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