Gli uomini di Abbas, infine, hanno dovuto cedere, si terranno infatti a Damasco, tra meno di una settimana, i colloqui del secondo "round" di riavvicinamento fra Hamas e Fatah: vincitore delle regolari elezioni del 2006 e power broker della Striscia di Gaza assediata dalle truppe sioniste il primo, erede della sbrindellata memoria ed eredità politica di Yasser Arafat il secondo, anche se di questi tempi il movimento che forniva la parte propulsiva e dominante della vecchia OLP é più che altro noto per aver tentato un maldestro colpo di stato contro il legittimo Governo espresso da Hamas e per essersi trasformato in una sorta di quislinghiano fiancheggiatore delle politiche di abuso e persecuzione che Israele porta avanti incontrastato nella West Bank, la Cisgiordania che Mahmud Abbas pretende di controllare (anche se non può fare nulla contro l'espansione delle colonie ebraiche fondamentaliste, contro i raid ai danni di terreni e serre palestinesi, contro il furto dell'acqua dai pozzi o contro i fermi e gli arresti illegali condotti dalle truppe di Tel Aviv).
In occasione dello scorso summit arabo di Sirte (Libia), Fatah aveva denunciato l'intenzione di sabotare il meeting con Hamas se la locazione dello stesso non fosse stata cambiata, ritenendo la Siria di Bashir Assad troppo vicina agli interessi del movimento musulmano di resistenza (Hamas ha infatti a Damasco il suo quartier generale, dove risiede il suo capo supremo Khaled Meshaal; il Capo del Governo palestinese in carica Ismail Hanyeh si trova invece a Gaza).
Ma la determinazione di Abbas, di fronte alle sempre più gravi difficoltà in cui si dibatte la sua organizzazione, di fronte al discredito sempre più grave con cui l'opinione pubblica mediorientale in generale ed araba in particolare ha preso a considerarla, di fronte alla prospettiva di essere indicato sempre di più come l'ostacolo principale al rapprochement e alla ricostituzione di un fronte palestinese unito, é andata via via scemando, sostituita probabilmente da un pragmatismo in ragion del quale il leader di Fatah spera, probabilmente, di potersi conservare, con la trattativa, un avvenire politico.
Le indiscrezioni che a sei giorni dall'incontro stanno già circolando in merito vorrebbero che in seguito ad esso un esponente di Hamas venisse nominato a capo di una agenzia palestinese di intelligence finalmente unificata (alla cui struttura provvederebbe principalmente personale di Fatah); in seguito a questo compromesso cesserebbe il dualismo fra il Governo legittimo di Gaza e l'Autorità espressa da Fatah in Cisgiordania.
Altri osservatori, più pessimisti sulle effettive possibilità di accordo, vedono nel meeting una mossa di pressione di Abbas sui suoi partner nordamericani ed europei (i cosiddetti "paesi donatori", che tengono in vita Fatah con le loro elargizioni) affinché si muovano presso Israele per far bloccare o almeno rallentare l'espansione e il consolidamento delle colonie ebraiche illegali in Cisgiordania.
Il deputato di Hamas Mahmud Musleh, durante un'intervista con i reporter del sito palestine-info.co.uk ha rimarcato come, prima di proporsi come partner credibile per un qualunque riavvicinamento con Hamas Fatah dovrebbe smettere di dare la caccia a simpatizzanti ed attivisti del movimento religioso di Resistenza nelle zone soggette alla sua autorità, e soprattutto liberare i prigionieri politici che ha preso in questi mesi.
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