L’attacco a sorpresa dell’esercito sionista contro l’inerme popolazione di Gaza, iniziato qualche giorno fa, ci pone dinnanzi ad alcune considerazioni concernenti gli eventi della regione mediorientale nel loro complesso. In primo luogo gli effetti che può avere un gesto del genere nel conflitto in corso in Siria; evidentemente i sionisti partono dal presupposto di aver isolato Hamas, per via delle prese di posizione del partito islamista palestinese, apparentemente di condanna del governo di Assad.
Probabilmente a Tel Aviv ragionano nel seguente modo: ormai Hamas è fuori dall’Asse della Resistenza (Iran, Siria, Hezbollah) e quindi non riceverà più gli aiuti siro-iraniani. Gli altri attori regionali, come Turchia e Qatar, hanno buone relazioni col regime sionista quindi non andranno oltre una condanna verbale dell’aggressione, e non si sognerebbero mai di aiutare militarmente Hamas. Ergo, Hamas non ha più alleati credibili e la distruzione della Striscia di Gaza potrà essere compiuta senza problemi.
Ma è proprio qui che i sionisti hanno sbagliato i conti. Si è vero, alcuni importanti leader di Hamas hanno preso posizione contro Assad, ma una parte del movimento, capeggiato da Mahmood Zahhar e buona parte delle Brigate Ezzeddin Al Qassam, braccio armato di Hamas, sono rimaste fedeli all’Asse della Resistenza, per cui i rifornimenti iraniani e siriani a questi ultimi non sono cessate negli ultimi due anni. Infatti tra i missili lanciati da Gaza nella Palestina occupata, possiamo annoverare i famigerati Fajr, di produzione iraniana, capaci di colpire obiettivi anche relativamente lontani dalla Striscia, come Tel Aviv e Gerusalemme.
Questa è la prima volta negli ultimi decenni che la resistenza palestinese colpisce Tel Aviv o Gerusalemme, senza ricorrere ad operazioni di martirio, il che è una novità fondamentale dal punto di vista strategico. Ma questo non è tutto; non possiamo dimenticare infatti che Gaza è la roccaforte di altri gruppi palestinesi come la Jihad islamica, i Comitati Popolari di Resistenza (legati ad Hezbollah) e il PFLP-GC di Ahmed Jibril (alleato storico della Siria), fazioni in stretto contatto con l'Asse della Resistenza. Rimane da capire come questi armamenti siano arrivati ai palestinesi, visto che Gaza è circondata: da un lato il regime di occupazione sionista, dall’altro l’Egitto, che di certo non era un nemico di Tel Aviv, considerando anche che il valico di Rafah continua a rimanere semichiuso.
A questo punto, per far filare il ragionamento, dobbiamo chiamare in causa altri eventi della regione mediorientale, apparentemente scollegati con la guerra in corso a Gaza. In primo luogo il drone di Hezbollah, che sorvolando per alcune ore i cieli della Palestina occupata, e passando anche nelle vicinanze della centrale nucleare di Dimona, nel Negev, ha umiliato pesantemente i sionisti, convinti di aver messo in sicurezza il proprio spazio aereo, con l’introduzione dello speciale sistema antimissilistico “Iron Dome”. La reazione sionista allora è stata veemente, ma attenzione, non contro Hezbollah, ma contro il Sudan, bombardato “misteriosamente” da Tel Aviv per distruggere, così ci è stato riferito dai media occidentali, alcune fabbriche di armamenti. Alcuni analisti però reputano che quell’attacco sia stato un messaggio all’Iran, visto che quelle fabbriche, affiancate a quanto sembra da segrete basi militari iraniane, producevano armi e missili per conto degli iraniani, che le avrebbero destinate lungo gli scorsi mesi a Gaza, passando segretamente dall’Egitto, approfittando del caos imperante in quel Paese dalla caduta di Mubarak ad oggi.
Ovviamente i sionisti, venuti a sapere di questo fatto (vuoi vedere che le scaramucce nel Sinai tra presunti integralisti islamici e autorità egiziane, erano proprio dei diversivi per far passare le armi iraniane a Rafah, senza far insospettire gli egiziani?) hanno cercato di intimidire l’Iran, bombardando la fonte dei rifornimenti palestinesi in territorio sudanese. Ovviamente questa è solo un’ipotesi, ma l’evoluzione dei fatti delle ultime settimane, ci fa propendere per questa tesi. Il potenziale missilistico senza precedenti dei palestinesi dimostra come l’Asse della Resistenza continua ad essere una realtà ben solida, che non si è sfaldata per qualche irresponsabile presa di posizione di qualche rivoluzionario "pentito" (o corrotto dai petrodollari degli emiri del Golfo).
Un’ultima considerazione sul comportamento di alcuni Paesi arabi e della Turchia. Quando si è trattato di fare la guerra ad Assad, questi governi hanno sostenuto anche militarmente l’opposizione siriana, ma adesso, coi loro “fratelli” palestinesi, si limitano solo a generali prese di posizione e di armi alla resistenza nemmeno l’ombra: poi dicono che noi vogliamo sempre pensare male di questa gente!
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