La cultura giudaica, non illuminata dal messaggio di perdono del Vangelo o dall'anelito di fratellanza universale del Corano, rimane rinserrata su concetti di vendetta e di lex talionis tipici dell'Età del Bronzo, che non ammettono tentennamenti o eccezioni e che quasi, paradossalmente, prevedono e pretendono una durezza di risposta che si moltiplica esponenzialmente quanto più triviale e minore é l'offesa patita, sia essa vera o presunta.
Nella giornata di ieri le truppe del regime ebraico di occupazione hanno sequestrato Bassil e Nariman Tamimi, padre e made del piccolo Mohammad, il bambino di 12 anni ferito al braccio sinistro che é stato abusato e picchiato venerdì scorso da un soldato sionista e che é sfruggito alle sue grinfie solo grazie all'intervento della madre, della zia e della sorella maggiore.
Il padre non aveva nemmeno preso parte al salvataggio del figlio, temendo che vedendosi confrontare da un altro uomo il soldato invasore avrebbe potuto fare fuoco col suo fucile d'assalto contro il bambino, come successo moltissime volte in Cisgiordania.
Adesso i signori Tamimi potranno venire trattenuti per mesi, forse per anni, gettati in prigione senza nessuna accusa precisa, mentre, vogliamo ricordarlo, per coloro che hanno bruciato viva la famiglia Dawabsha, non esiste nemmeno un atto d'accusa ufficiale.
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