sabato 27 novembre 2010

Hariri: "Netanyahu non crede alla pace, non ci ha mai creduto"


In una intervista rilasciata ieri al Washington Post, il Primo ministro libanese Sa'ad Hariri ha espresso la sua convinzione che l'attuale Governo israeliano non sia per nulla interessato a portare avanti lo stagnante e agonizzante "Processo di pace" e che lo usi solo come espediente per portare avanti una politica di annessione di territorio tramite l'espansione delle colonie ebraiche ultranazionaliste in Cisgiordania e l'estensione progressiva di barriere e muri volti a spezzettare e sgretolare la continuità territoriale degli insediamenti abitativi palestinesi.



"Non vi é una leadership ferma e riconoscibile in Israele, Netanyahu ha una personalità politica così evanescente e impalpabile che non riesce a imporsi sui vari elementi dell'esecutivo di cui nominalmente ha la guida: in realtà ogni ministro va per la sua strada; Netanyahu non comprende che, essendo stato eletto da una popolazione preoccupata della propria sicurezza, dovrebbe cercarla nella costruzione di uno stabile e conservabile stato di pace, questo soddisferebbe il suo elettorato e quasi certamente gli garantirebbe la rielezione e un posto nel pantheon dei grandi leader politici israeliani, persino un ex-terrorista come Menachem Begin si convinse a trattare con uno storico nemico quando gli fu chiaro il beneficio politico che ne avrebbe ottenuto...Netanyahu non sembra dotato dello stesso 'fiuto', a giudicare dalle sue azioni".

Hariri ha quindi levato contro Netanyahu l'accusa di avere iniziato a sabotare la cornice comprensiva degli accordi di Oslo già durante il suo primo mandato governativo, che ebbe luogo immediatamente dopo l'assassinio del firmatario dell'intesa, il Primo ministro Rabin, per mano di un estremista di destra.

Sa'ad Hariri, inizialmente eletto alla sua carica da una coalizione di partiti libanesi di centro-destra tendenzialmente vicini a Israele e agli Usa, ha recentemente assunto posizioni molto più critiche nei confronti dello Stato ebraico, da quando ha iniziato a risultare possibile se non addirittura probabile un coinvolgimento di agenti sionisti nel complotto che portò, nel febbraio 2005, all'assassinio di suo padre Rafik, uomo chiave della ricostruzione libanese post-Guerra civile e Primo ministro del Paese dei cedri per due mandati non consecutivi.

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