Nella continua evoluzione della tecnologia bellica, nel passaggio dal 'warfare' ancora semi-analogico degli anni '80-'90 alla massiccia digitalizzazione di inizio XXIesimo secolo, con l'introduzione dei concetti di 'C4I' e di 'Dottrine Network-centriche', i velivoli senza pilota, UAV o droni che dir si vogliano, rappresentano quello che gli aerostati sono stati per gli eserciti di fine '700 e primi dell'800 o che i primi aeroplani hanno rappresentato nel 1910-1914; una maniera innovativa e poco dispendiosa di raccogliere informazioni.
Certo gli statunitensi (sempre ansiosi di lasciare che la tecnologia combatta le battaglie in loro vece) si sono entusiasticamente lanciati nell'idea di trasformare i droni anche in 'estensori di potenza di fuoco', in ciò rapidamente seguiti dai sodali israeliani, ma vista la natura degli obiettivi finora perseguiti da Washington e Tel Aviv (civili, rappresentanti politici, guerriglieri tribali) non é ancora chiaro se i velivoli senza pilota dell'attuale generazione possano trasformarsi in efficaci veicoli di firepower in una guerra convenzionale, contro nemici cioé dotati di effettive capacità antiaeree.
Nel panorama mondiale, se la diffusione della tecnologia dei droni in aree notoriamente interessate da 'corse agli armamenti' o recentemente attraversate da conflitti armati (Medio Oriente, Asia Centrale...) era soltanto logica e facilmente prevedibile, persino quando a dotarsi di simili ordigni sono state entità militari non statali come ad esempio Hezbollah in Libano, la relativa rapidità della diffusione degli UAV in America Meridionale é stata uno sviluppo per molti versi quasi sorprendente e un chiaro indicatore che, con il grande sviluppo economico di alcuni paesi sudamericani (Brasile in primis) e con l'affrancamento di numerosi altri Stati dal giogo statunitense, l'area si sia popolata di attori decisi a perseguire le loro politiche di sviluppo militare in maniera decisa (e spesso anche autonoma), non accontentandosi più (come é stato per parecchi decenni precedenti) di 'piluccare' tra gli avanzi e le rimanenze degli arsenali di paesi più tecnologicamente intraprendenti.
Tra i paesi latinoamericani che recentemente hanno iniziato a dotarsi di una componente UAV nelle loro forze armate il Venezuela é sicuramente uno degli esempi più interessanti da analizzare e valutare e questo per una vasta e differenziata serie di ragioni: innanzi tutto per il fatto di ricoprire un ruolo di sicura preminenza tra quegli stati che, come accennavamo prima, si sono recentemente 'scollegati' dai vincoli che li allacciavano al 'cortile di casa' nordamericano per assumere la posizione di più forte ostilità a Washington tra gli stati della regione. Potremmo quasi dire che senza l'esempio venezuelano (incarnato fino a tempirecentissimi dalla vita e dall'operato di Hugo Chavez Frias) sviluppi come l'elezione in Bolivia di Evo Morales o in Ecuador di Rafael Correa non sarebbero stati forse nemmeno possibili, quindi, per converso, la politica di sviluppo degli UAV di un paese 'trend-setter' come quello oggi guidato da Maduro può avere importanti ricadute anche per quanto riguarda gli stati a esso ideologicamente vicini.
Inoltre, se a un estremo dello scenario sudamericano abbiamo l'esempio del Peru, che ha sviluppato totalmente in proprio i suoi UAV e all'altro opposto dello spettro invece il Brasile si é limitato ad acquistare alcuni esemplari (e una non chiara percentuale di 'know how') direttamente da Israele, il Venezuela ha sì prodotto in proprio i suoi primi esemplari di 'Arpia', ma lo ha fatto valendosi della consulenza e della cooperazione della Repubblica Islamica dell'Iran, che, con i suoi Ababil, Mohajer, Saeghe, Shahed e Karrar é sicuramente uno degli attori principali della 'corsa ai droni' di inizio Ventunesimo Secolo e certamente una delle realtà più dinamiche e interessanti nel campo non legato agli Stati Uniti e alla NATO.
Che il Venezuela si sia rivolto all'Iran per le sue necessità in campo UAV, quindi, é abbastanza logico, specialmente quando si consideri che, al contrario di tanti modelli magari anche promettenti, ma ai fatti non testati in vere condizioni di operatività bellica, i prodotti senza pilota dell'industria aeronatuica di Teheran i loro battesimi del fuoco li hanno già avuti: durante la Guerra dei 33 giorni dell'estate 2006 tra Israele e Resistenza libanese, e anche di recente, nel teatro dell'insurgenza mercenaria scatenata contro la Siria, dove secondo molteplici osservatori l'accurato e giudizioso uso dei droni iraniani da parte delle forze di Assad é stato alla base di notevoli risultati sul campo di battaglia, non ultime le grandi vittorie riportate vicino al confine col Libano, a Qusayr e Talkalakh.
E' singolare (e anche abbastanza sconsolante) leggere su riviste che si riterrebbero quotate e professionali come l'americana 'Wired', 'The Aviationist' o altri presunti outlet 'specialistici' commenti dismissivi e superficiali riguardo la qualità e l'efficienza della tecnologia UAV iraniana, che non hanno altra ragione di essere se non l'asservimento dei loro redattori alla macchina propagandistica occidentale, sempre pronta, come ai tempi della Guerra Fredda, a spalare menzogne sulla sofisticazione delle tecnologie dei rivali del momento (si pensi a quanto veniva malignata la tecnologia sovietica nei decenni passati) salvo doversi rimangiare le proprie parole quando confrontata con fatti di segno totalmente opposto (pensiamo al panico che colse i 'pundit' occidentali di aviazione all'apparire di macchine come il Mig-29 e il Su-27, in tutto pari se non decisamente superiori ai rappresentanti della 'teen series' a stelle e strisce).
Ma a parte l'imparzialità e la deontologia professionale vi sono ottime ragioni per non tacciare di arretratezza o inaffidabilità le tecnologie UAV iraniane: in primis il fatto che la loro quasi totalità é stata sviluppata proprio a partire da quegli esemplari di velivoli senza pilota che lo Scià Reza Palhevi acquistò proprio dagli Stati Uniti fin dagli anni '60 e oltre. Anche se nella coscienza comune la figura dell'UAV ha iniziato a diffondersi con i primi anni del XXImo Secolo e con la figura del 'Predator' americano in realtà é fin dagli anni quaranta, dal primo modello di "radioplano", che gli Stati Uniti si gingillano con l'idea del velivolo senza pilota e un uso già abbastanza intenso di droni si ebbe già durante il conflitto vietnamita.
Ansioso di procurarsi tutti i 'giocattoli' tecnologici più avanzati che l'arsenale Usa potesse offrirgli, Palhevi fece incetta anche di droni (oltre che di F-5, Phantom, F-14 e tantissimi altri sistemi d'arma americani) ed é stato proprio su questa base assolutamente 'Made in America' che la Repubblica Islamica iraniana ha cominciato a muovere i suoi primi passi nel campo, attraverso il lungo e difficoltoso progresso del 'trial and error' e della retroingegneria che però grazie alla tenacia, alla costanza e anche all'ottimo livello di preparazione dei tecnici e degli ingegneri di Teheran ha portato i suoi frutti, che si sono visti all'opera nei cieli libanesi e siriani e che ora sono stati esportati anche in quel di Caracas.
Che il programma venezuelano/iraniano stesse per proddure i suoi primi risultati lo si leggeva già a marzo 2012 sulle colonne di 'Wired' dove, in un accesso di sincerità, il redattore era costretto ad ammettere che la tecnologia in questione era 'almeno' pari grado a quella della serie statunitense 'Scan Eagle', nel giugno successivo, poi il modello 'Arpia' venne ufficialmente presentato dal Presidente Chavez in persona; in quell'occasione il Generale Julio Cesar Prieto, capo del 'Konzern' militare statale CAVIM ne annunciò le caratteristiche tra cui autonomia di 90 minuti, quota massima operativa di 3000 metri e compiti esclusivamente di ricognizione e intelligence-gathering. Non passarono nemmeno tre mesi che gli 'Arpia' venezuelani colsero il loro primo successo aiutando l'individuazione e l'intercettazione di un carico di cocaina partito per via aerea dalla vicina Colombia, bloccato nella zona di Apure (il velivolo, casualmente, aveva un'immatricolazione statunitense).
Lo scorso giugno, con una cerimonia questa volta presieduta dal successore del grande leader venezuelano, Nicolas Maduro, altri esemplari di 'Arpia' (che sono organizzati, a quanto si sa finora, in squadriglie di tre esemplari ciascuna) sono stati resi operativi. Tutti questi elementi dimostrano come la presenza venezuelana nel panorama dell'attuale 'corsa al drone' sudamericana é tutt'altro che da sottovalutare e potrebbe persino porsi come pietra di paragone per giudicare il successo e la serietà di altri programmi e percorsi di sviluppo. Sta agli osservatori seri e dedicati attendere pazientemente i segnali di ulteriori sviluppi e saperli interpretare e classificare correttamente, senza 'paraocchi' ideologici o pregiudizi di sorta, attenendosi unicamente ai fatti.
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