Sostenuto dai voti del Libero Movimento Patriottico, di Hezbollah, di Amal, dei Democratici libanesi, del Partito Socialista della Nazione Siriana, del Partito Marada, del Partito Tashnaq, dei Comunisti libanesi, di due piccole formazioni da un solo parlamentare ciascuna (Baath Socialista Arabo e Partito della Solidarietà) e rinforzato decisivamente dai parlamentari del Partito Socialista Progressista dei Drusi di Jumblatt il milionario sunnita Najib Mikati ha racimolato 68 voti contro i 60 del suo rivale diretto, l'ex Primo Ministro filoamericano Saad Hariri, diventando ufficialmente capo del nuovo Governo libanese.
Più forte delle false testimonianze e delle prove fasulle ammassate dal tribunale-canguro "STL", più forte delle velenose prese di posizione del Dipartimento di Stato di Dama Clinton, più forte del mulinar di sciabole sioniste che viene da oltre il confine, più forte persino del disperato e quasi ridicolo tentativo di Hariri di buttarla "in extremis" in gazzarra con le sparute ma violente manifestazioni di ieri (che una stampa italiana di strettissima osservanza sionista ha maldestramente cercato di accostare alle contemporanee ma politicamente diversissime proteste a Tunisi e al Cairo), Mikati é stato portato alla seconda carica dello Stato da un'alleanza di centro-sinistra che ha vinto l'ennesimo braccio di ferro contro una coalizione filoimperialista che appare più confusa e alle corde del PD di Veltroni.
Magnanimo nella vittoria, Mikati rende onore agli sconfitti ed estende loro la mano per sondare le possibilità di cooperazione, pur sostenuto dalla coalizione premiata dai voti del 54 per cento degli elettori nelle consultazioni del 2009 (senza contare i consensi del PSP), egli sa benissimo di non poter governare a colpi di maggioranza un paese tanto delicato e composito: "Tendo la mano all'opposizione" ha detto nel suo discorso di investitura "sono qui per servire il Libano, non per comandarlo, le mie azioni parleranno da sole".
Nella sua torre del Dipartimento di Stato, la Strega dell'Ovest Hilary Clinton mastica amaro e fa ripetere ai suoi portaborse e assistenti che gli Usa stanno valutando i passi da fare nei confronti (cioé 'contro') il nuovo Governo libanese, disallineato dai desiderata imperiali che erano invece altrettanti ordini per il debole e remissivo Hariri.
Ma l'analista politico americano Franklin Lamb dubita che gli incantesimi della sempre più rugosa e ossigenata Hilary possano far fare marcia indietro al Paese dei Cedri: "Mikati non é andato al potere con un golpe o con la violenza di piazza, ha ottenuto una maggioranza parlamentare, quel che é fatto é fatto e non sarà qualche contratto commerciale saltato o qualche disordine di piazza a togliergli il potere, anzi, eccessive pressioni esterne non farebbero che confermare la percezione che sia il centrodestra filoamericano la più grande minaccia all'indipendenza del Libano".
Il campo di Hariri e soci infatti, ha ripetuto fino alla nausea che con Hezbollah al Governo il Libano sarebbe diventato una pedina dell'Iran, ma, con le sue continue genuflessioni a Washington e Tel Aviv e con le sue manovre a favore del Tribunale speciale é proprio l'alleanza del 14 marzo che ha operato per rendere Beirut una spenta, smunta e piccola appendice della bandiera a stelle (di davide) e strisce.
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