venerdì 7 gennaio 2011

L'Irak post-invasione, terreno ideale per la penetrazione turca, economica ma non solo


Pochi anni fa la Turchia aspettava spaurita e infreddolita sulla soglia dell'UE che i venticinque paesi europei (o almeno quei quattro o cinque che veramente prendono le decisioni a Bruxelles) si mettessero d'accordo per farla entrare. Poi é successo qualcosa, la Turchia si é resa conto di non aver bisogno di un posto da Cenerentola in Europa se poteva procurarsi da sé un posto da privilegiata fra Asia centrale e Vicino oriente.

Adesso, mentre i paesi europei si dibattono fra le spire di una crisi che non vuole sparire e di una ripresa che non si vuol far vedere, la Turchia si gode una crescita dell'economia del sei per cento annuo (6,8% nel 2010 appena trascorso), senza essere dovuta correre in soccorso di banche 'ballerine' e avendo assorbito ogni contraccolpo della crisi globale grazie soprattutto a un dinamico settore manifatturiero.

Uno dei mercati di riferimento per i prodotti turchi é l'Irak, che ne assorbe per oltre quattro miliardi e mezzo di Euro ogni anni, e dove i progetti e gli investimenti di Ankara si moltiplicano e si approfondiscono ogni giorno lungo un asse che va dal Nord curdo fino a Bassora e allo Shatt al-Arab nell'estremo Sud del paese. Mentre l'influenza politico-economica statunitense va progressivamente rarefacendosi con l'assottigliamento dei presidi militari e il progredire della smobilitazione sembra proprio che, dopo l'Iran, sia la Turchia il paese meglio posizionato per diventare uno dei principali partner di Bagdad.

Ovviamente Ankara esercita esclusivamente "soft power", non vuole essere una presenza sofferta o ingombrante per un vicino che sta appena uscendo da sette anni di occupazione militare e guerra civile, ma piuttosto un fornitore di merci, capitali, intrattenimento, cultura ed educazione, tutte cose di cui il popolo iracheno ha un immediato e profondo bisogno. Il 'leverage' turco inizia al varco di confine di Zakho, dove ogni giorno centinaia di camion passano attraverso i ventisei caselli carichi di materiali edili, tessili, mobilio, prodotti alimentari che poi vengono distribuiti lungo tutto il paese.

Dopo le merci, ovviamente, la grande sfida sta negli immobili e nelle infrastrutture, come confermano le parole di Aydin Selcen, console turco ad Irbil: "Vogliamo integrarci con l'Irak attraverso strade, ferrovie, aeroporti, oleodotti e gasdotti...presto non saranno solo le merci turche a scorrere verso sud, anche il petrolio e il gas iracheno scorreranno verso nord, assieme a lavoratori, idee, capitali, che andranno in entrambe le direzioni".

Neo-ottomanesimo sotto l'egida del partito musulmano centrista di Erdogan, che fin dal nome promette Giustizia e Sviluppo? Forse, ma nessuno lo ripete a voce troppo alta; piuttosto, negli occhi degli uomini d'affari e degli investitori turchi in Irak si può leggere la soddisfazione di stare provando con i fatti che una politica estera aggressiva e imperialista come quella americana degli ultimi dieci anni possa essere sconfitta giorno per giorno, un progetto alla volta, da persone che si presentano non come conquistatori ma come partner in affari e recano con sé, anziché un mitra spianato, la promessa di un guadagno reciproco.

Gli irakeni apprezzano e i rapporti crescono e si infittiscono.

La penetrazione non é soltanto economica, ma come accennato anche culturale: le voci di pop star turche escono dagli altoparlanti dei supermercati e dalle casse degli stereo, i serial televisivi venuti da nord come "Muhannad e Nour", "Amore Proibito", per non parlare di "Kurtlar Vadisi" sono popolarissimi, una organizzazione musulmana in Irak gestisce diciannove scuole di alto livello con oltre cinquemila studenti: arabi, curdi, turkmeni, la classe dirigente del futuro. Anche corteggiare la classe dirigente di oggi, naturalmente, aiuta, lo confermano i legami tra la diplomazia di Ankara e il partito di Erdogan e i rappresentanti del Blocco Sadrista, il movimento politico sciita guidato dal figlio dell'Ayatollah martirizzato dai sicari di Saddam; la maggior parte dei deputati sadristi eletti nel 2010 sono stati istruiti sulle intricatezze del lavoro parlamentare in appositi stage organizzati per loro ad Ankara e, lo scorso ottobre, i diplomatici turchi sono stati i soli rappresentanti stranieri a presenziare a una commemorazione dei martiri sadristi della Resistenza agli invasori tenutasi all'Università di Bagdad.

Nel Sud del paese, Bassora, la città che nel corso degli anni ottanta rischiò più di una volta di venire conquistata dai Pasdaran khomeinisti, e che subì in pieno gli effetti delle due guerre del 1991 e del 2003 non ha nemmeno iniziato a ricostruire e recuperare il retaggio della passata influenza turca (il grande quartiere ottomano), ma gode già dei benefici di quella presente: ogni giorno bastimenti turchi alla fonda le forniscono oltre 250 Megawatt di indispensabile energia elettrica, compagnie turche hanno costruito a tempo di record un centro fieristico all'avanguardia e hanno restaurato o ricostruito gli hotel come lo Sheraton, complemento essenziale all'economia di expo e saloni, adesso si stanno dando gli ultimi ritocchi a un moderno stadio da 65.000 posti mentre la compagnia di bandiera turca progetta di fare scalo all'aeroporto locale con quattro voli settimanali diretti da Istanbul.


Nelle parole del console turco Ozcoskun:"Bassora è un territorio vergine, chiunque sia abbastanza rapido da stabilire i primi contatti può garantirsi una posizione preminente per decenni" ed é chiaro, dalla luce che anima le sue pupille mentre pronuncia la frase, che nessuno é stato più rapido dei suoi compatrioti.

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