sabato 13 ottobre 2012

A proposito di Hamas…le pognanti riflessioni di Ali Reza Jalali sulla dicotomia di "Hamasan", i due Hamas spaccati tra Resistenza e sottomissione!

Ancora una volta cogliamo l'occasione per ringraziare il giovane giurista ed esperto di questioni mediorientali Ali Reza Jalali per il suo prezioso contributo al nostro blog; per onorarlo abbiamo ritardato di qualche giorno la pubblicazione di questo editoriale in modo che fosse il primo item del terzo anno d'attività di PALAESTINA FELIX.
 
Da quando è iniziata la crisi siriana, ovvero all'incirca dal marzo dell'anno scorso, abbiamo potuto apprezzare alcuni cambiamenti importanti nelle posizioni politiche dei principali attori del Medio Oriente. Questi attori, regimi, governi, partiti politici o gruppi armati che siano, hanno ritenuto di chiarire la propria posizione riguardo agli eventi siriani, per evitare fraintendimenti o ambiguità; così oggi possiamo apprezzare un governo siriano sostenuto dallo Stato iraniano, dal governo libanese e da quello iracheno, oltre che dallo Stato sudanese.

D'altro canto l'opposizione armata al governo legittimo di Assad, frutto di una "Santa alleanza" grossolana, comprendete islamisti radicali, salafiti, wahabiti, sedicenti liberali, sedicenti laici democratici e chi più ne ha più ne metta, sostenuta apertamente dal governo turco, dal regime saudita e dal Qatar, per non parlare del cauto sostegno giordano (temperato dal timore del reuccio Abdallah di venire dopodomani spodestato dai wahabiti) e della regia, occulta ma presentissima, del regime sionista dietro l'intera operazione, che spera di sbarazzarsi dell'unico Stato che lo ha combattuto apertamente senza mai riconoscerlo e mai accettare 'pace' e di cui occupa militarmente e illegalmente la zona del Golan.

Per ciò che concerne i gruppi politici e di guerriglia, per non parlare delle bande terroriste, abbiamo ugualmente posizioni abbastanza chiare nella regione. Da una parte (a favore di Assad) gli Hezbollah libanesi, i maroniti progressisti di Aoun, il partito Amal, l'SSNP, il Partito Arabo Democratico degli Alawiti, i nazionalisti "nasseriani" in Egitto, i movimenti sciiti iracheni. Con l'opposizione armata invece si sono schierati i gruppi terroristici come Al-Qaeda e i terroristi MKO, il Partito islamico iracheno del latitante Tariq Hashemi, e le frange più conservatrici della Fratellanza musulmana, in ispecie quella egiziana.

Molto interessante invece la posizione dei gruppi palestinesi, vista negli ultimi anni la vicinanza della Siria con i gruppi rivoluzionari della Terra Santa. Al Fatah, ma questa non è una novità, si è schierata contro Assad, mentre la Jihad islamica e i gruppi di sinistra, hanno simpatizzato per il governo siriano così come i Comitati di Resistenza Popolare (legati a Hezbollah) e il Fronte Popolare Comando Generale di Ahmed Jibril. Gli unici, in tutto lo scacchiere mediorientale, a non esprimersi chiaramente, tra i principali gruppi, sono stati quelli di Hamas.

La realtà dei fatti è che, il gruppo islamico palestinese, ha una oggettiva difficoltà a trovare una linea coerente nella sua dirigenza: da un lato il ricordo della storia recente, caratterizzata dall'alleanza con la Siria "assadista", in funzione antisionista e antimperialista, come dimostrano i fatti della guerra di Gaza di qualche anno fa, e dall'altro il legame tra Hamas e la Fratellanza musulmana, di cui in effetti rappresenta una filiazione, che si propone come principale gruppo di opposizione al governo siriano. Se poi dovessimo aggiungere le lusinghe dei petrodollari degli emiri del Golfo, comprendiamo come i leader storici di Hamas siano in questi giorni alle prese con tentazioni inconciliabili: come si suol dire, "tenere la botte piena e la moglie ubriaca", ovvero rimanere nell'Asse della Resistenza e tuttavia beneficiare dei 'perk' promessi dai regimi reazionari della regione.

Tutto ciò è ancora più evidente se vediamo le prese di posizione di alcuni esponenti di Hamas. Qualche mese fa, in una visita di Ismail Haniyeh in Egitto, il politico islamista disse dinnanzi ad una folla osannate, che sventolava le bandiere dell'opposizione siriana: "Noi sosteniamo la lotta del popolo siriano per la democrazia e la libertà". Proprio qualche giorno fa, è arrivata la notizia di un discorso di Khaled Mishaal in visita in Turchia; egli avrebbe detto apertamente che "Hamas sostiene le rivoluzioni nel mondo arabo", aggiungendo: "noi stiamo dalla parte della rivoluzione siriana". Egli ha poi continuato: "Noi sosteniamo gli sforzi del popolo siriano per la democrazia e la dignità". Quindi un quadro abbastanza chiaro verrebbe da pensare. Hamas è contro Assad.

Ma a complicare le cose ci ha pensato un altro dei leader storici del partito islamista palestinese, ovvero Mahmood Zahhar. In un'intervista, risalente a questa estate, Zahhar aveva apertamente bollato le rivolte in Siria come un complotto per indebolire la resistenza al sionismo. Le posizioni dei leader di Hamas quindi sono schizzofreniche e ciò dimostra la profonda divisione ai vertici del partito. Al momento il tessuto del movimento sembra ancora tenere, ma non è da escludere in futuro una possibile scissione e la fuoriuscita di alcuni esponenti.

Ovviamente chi scrive spera nella riconciliazione in nome della Causa rivoluzionaria e antisionista, ma così come stanno le cose Hamas sta prendendo, almeno in una parte della sua dirigenza, una strada molto pericolosa, che ricorda il declino di Al Fatah nei decenni scorsi, ovvero l'involuzione da gruppo rivoluzionario a pedina delle forze reazionarie, da tenere in considerazione solo per qualche fantomatico "processo di pace" destinato ad inglobare tutta la Palestina storica nel regime di occupazione sionista.

E' ancora presto per trarre delle conclusioni, ma la speranza sincera è il ripensamento di certe istanze avute recentemente. Veramente quelli di Hamas hanno dimenticato così in fretta i servizi di Assad alla causa palestinese? Senza gli aiuti siriani Hamas poteva pensare di resistere all'esercito sionista nel 2008-2009? Sarà il tempo a dirci se quelli del movimento islamico palestinese cadranno nelle braccia dei collaborazionisti sauditi o manterranno la linea antimperialista degli ultimi anni.
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