domenica 23 novembre 2014

Prospettive e bilancio sulla situazione siriana dopo quaranta mesi di guerra, lotte, sacrifici. Quanto dista la Vittoria?

Ho avuto il piacere di comporre questo lungo articolo per inaugurare la nuova veste grafica di "Stato e Potenza", testata online ufficiale del Movimento Socialismo Patriottico, che invito tutti i miei lettori a seguire e consultare.
Sono ormai passati tre anni e mezzo dall’inizio dell’aggressione imperialista contro la Repubblica Araba di Siria, i giorni, le settimane, i mesi si sono avvicendati e con loro le notizie di attentati, esecuzioni, spregi e devastazioni inflitti a uno dei più splendidi paesi del Vicino Oriente e del Mondo Arabo e alla sua stoica, coraggiosa popolazione da un’Armata Brancaleone di mercenari, traditori, fanatici, tagliagole ed estremisti raccolta, inquadrata, foraggiata e spronata dai peggiori bastioni della reazione controrivoluzionaria e del bigottismo più becero che offende e infanga secoli di splendida tradizione culturale e religiosa dell’Islam, a loro volta eterodiretti e manipolati dai burattinai di Washington, Londra e Tel Aviv.

1. Un attacco graduale e ben congegnato
Sulla genesi e lo sviluppo del vero e proprio complotto internazionale che si é serrato attorno alla Siria Baathista fino dall’inizio delle prime ‘manifestazioni’ durante la primavera del 2011 hanno già scritto pagine splendide l’ottimo Alessandro Lattanzio e il formidabile, compianto Costanzo Preve, quindi lo scrivente, per evitare di tediare i lettori con una goffa parafrasi dei concetti già magistralmente enunciati da questi, li rimanda ai loro saggi e articoli in merito; scopo di questo pezzo sarà semplicemente quello di tracciare una ‘scaletta’ dei punti salienti della vicenda siriana, in particolare dal punto di vista militare, che per chi scrive ha sempre costituito la chiave di lettura privilegiata per gli eventi storici e, in particolar modo, per quelli mediorientali degli ultimi novanta-cento anni.

L’attacco internazionale alla Siria iniziò in maniera subdola, non vi fu una data precisa per il suo principio: piano piano, a macchia di leopardo, i media imperialisti iniziarono a riportare notizie di ‘manifestazioni anti-regime’ in varie città del paese, seguite immancabilmente (come accade da Timisoara in poi) da fumosi rapporti di ‘sanguinaria repressione’ da parte del ‘tiranno Assad’. In realtà quello che accadeva in villaggi e cittadine siriane era quanto mai semplice: iniziavano a circolare voci preoccupanti (e infondate) messe in giro invariabilmente nelle moschee infiltrate di attivisti dell’Ikhwan, la popolazione, stupita e preoccupata, si riuniva in un posto pubblico (piazza, parco…) per chiedere conto di quanto aveva udito; a quel punto (prima che le forze pubbliche potessero intervenire) cecchini appostati strategicamente aprivano il fuoco sulla folla, dando gioco agli agitatori dei Fratelli Musulmani di gridare che: “Assad fa sparare sul suo popolo!”.

Non pochi furono ingannati da quelle messinscene, anche individui decenti, che magari avevano fondate ragioni di essere scontenti dello stato di cose in Siria e che così si trovarono coinvolti nelle azioni di sobillatori e provocatori professionisti, già a libro paga di Ankara, Doha e Riyadh.
Nell’estate 2011 un pattern chiaro era ormai emerso: centri della ‘rivolta’ erano diventate immediatamente Daraa, al Sud del paese, vicino al Golan occupato dai sionisti e alla frontiera con la Giordania ascemita, e Hama, storico centro della sedizione islamista già duramente (ma evidentemente non abbastanza) colpito da Assad padre nel corso degli anni ’80, da qui le provocazioni si erano estese ad Idlib e Homs. Proprio questa ‘estensione’ dimostra come, entro certi limiti, il piano imperialista era stato ben studiato: anziché fare iniziare l’attacco dalla lunga frontiera con la Turchia (che in quanto paese NATO colmo di installazioni e personale Usa sarebbe stato un ‘trampolino’ ideale), questo avrebbe permesso alle forze lealiste di manovrare per linee interne e cercare di bloccare le attività terroriste sui confini; il bubbone venne fatto esplodere nella Siria centro-occidentale, con la speranza di farlo metastasizzare verso la frontiera libanese e quindi di circondare con le sue innervature le due metropoli principali del paese: Damasco a Sud (stretta tra Daraa, il Golan e la frontiera col Libano) e Aleppo a Nord (col confine turco subito sopra e le arterie stradali verso le altre grandi città del Centro che avrebbero vomitato terroristi, armi e munizioni per far cadere la città da Sud).

Se questo piano fosse riuscito, una volta cadute Aleppo e Damasco la Siria sarebbe stata distrutta, forse un bastione alawita sarebbe rimasto intorno a Laodicea/Latakia e Tartous, ma il resto del paese sarebbe stato alla mercé degli islamisti sunniti di una o dell’altra tendenza terroristica (cioé filo-saudita qaedista o filo-qatariota ikhwanita).
Fortunatamente, ciò non accadde.

2. I Siriani non cadono nella trappola – Reazione governativa sul ‘doppio binario’
A dispetto di tutti gli sforzi della coalizione internazionale anti-Assad, divenne ben presto chiaro alla maggior parte della popolazione siriana che quello che andava accadendo nel paese era tutto meno che una ‘sollevazione spontanea’ e ben presto le diserzioni e i pronunciamenti contro il regime che pure avvennero anche da parte di ufficiali dell’Esercito o di funzionari governativi (evidentemente scontenti o previamente corrotti, come il Sindaco di Homs) rimasero episodi isolati e ben presto si interruppero del tutto. La stessa scelta della bandiera coloniale dell’epoca Sykes-Picot, anche solo a livello epidermico ed emotivo, fu un clamoroso autogoal del campo imperialista. Per ‘ovviare’ allo scarso entusiasmo dei Siriani veri e propri per la ‘rivolta colorata’ cucinata da CIA, Mossad e NATO, Qatar e Arabia Saudita vennero invitati a lanciare le loro ‘legioni straniere’ contro la Siria, e a quel punto fu chiaro che contro la Repubblica Araba era in corso un attacco esterno e che, amante o meno di Assad, il posto di ogni Siriano era a difesa della sua terra e della sua Storia contro chi ne avrebbe voluto fare volentieri un altro buco nero di fanatismo come la Libia post-Gheddafi.

Nonostante questo i primi mesi di lotta anti-terrorismo da parte delle forze siriane furono caratterizzati da una reazione parcellizzata, locale ed episodica, volta a confrontare ogni atto, ogni attacco dei sediziosi e dei militanti stranieri come un avvenimento isolato e non come una parte di un vasto piano organico di destabilizzazione; molti errori furono commessi e la mancanza di un comando e di un controllo centralizzati permise a molte cellule armate di innestarsi in zone da cui poi sarebbe stato arduo e costoso compito sloggiarle. Chi vide molto chiaramente la situazione e prese le necessarie misure per sostenere il proprio più importante alleato arabo fu Mosca (che invece aveva agito in maniera indecisa nel caso dell’attacco contro la Libia): l’invio dalle basi della Flotta del Nord verso il Mediterrano Orientale di una flotta guidata dalla portaerei Kusnetzov fu un potentissimo segnale verso l’Occidente, il Cremlino non avrebbe lasciato braccare Assad da una folla di esaltati come era successo al Ras sirtino.

Questa dichiarazione implicita iniziò a minare l’unità di intenti dei due principali partner NATO dell’attacco contro Damasco: Parigi (che considera la Siria parte della sua sfera d’interesse, in quanto ex-dominio coloniale) e Washington, la scollatura tra Eliseo e Casa Bianca, che sembravano marciare nuovamente d’amore e d’accordo dopo i ‘tempi bui’ di Bush Jr e Chirac, non divenne mai aperta ostilità, ma pure fu fondamentale per evitare il precipitare della situazione verso un aperto intervento occidentale come era invece successo nel caso libico.

Inoltre dopo i primi mesi di attacco, Assad e i suoi consiglieri si convinsero che l’aggressione doveva venire affrontata su un doppio binario: mobilitazione massiccia di tutte le risorse militari del paese per affrontarne la parte armata e, parallelamente, una profonda riforma e revisione della forma statale, da sottoporre al giudizio popolare e tramite la quale andare a nuove elezioni politiche e presidenziali per dimostrare al mondo che il popolo siriano era ancora unito e non esisteva nessuna ‘guerra civile’, termine di cui invece gli outlet giornalistici imperialisti abusavano ogni giorno in tragicomici esempi di ‘giornalismo giallo’ che parlavano di ‘milizie filo-governative’ responsabili di ogni nefandezza e di ‘reparti dell’Esercito passati ai rivoltosi come in Libia’.

Il referendum costituzionale si tenne a febbraio 2012 (la flotta russa era attraccata a Tartous a gennaio) e in primavera si ebbero le prime vere e proprie battaglie contro mercenari stranieri e terroristi che portarono alla liberazione di importanti zone delle città più colpite dall’attività eversiva come Homs, in particolare Baba Amr, che fu la prima parte della città a rientrare completamente sotto il controllo governativo (poi seguita da Karm al-Zeitoun, Khaldiya, Homs Vecchia, fino alla completa liberazione dell’area metropolitana avvenuta il 2 maggio scorso).

3. Estate 2012, attacco contro Aleppo e Damasco (‘Operazione Vulcano’)
Ancora più rapida fu la ripresa di Idlib, che dopo la primavera 2012 non é più stata teatro di grandi scontri armati, ma già l’internazionale terrorista aveva messo gli occhi sul suo prossimo obiettivo e, un po’ nella speranza di dissipare il concentramento di forze che (finalmente) affluivano verso le metropoli della Siria centrale, un po’ per coinvolgere più direttamente la Turchia neo-ottomana di Erdogan nel conflitto, venne sferrato l’attacco contro Aleppo, la ‘Capitale del Nord’ e probabilmente il centro economico più importante dell’intero paese.

L’assalto contro Aleppo, preparato sul finire della Primavera del 2012 entrò nel vivo tra la fine di giugno e l’inizio di luglio dello stesso anno e, per garantire che aiuti consistenti non potessero raggiungere la metropoli, venne temporizzata poco dopo il suo inizio anche un’altra ambiziosissima offensiva terroristica, questa volta contro il fulcro stesso dello Stato siriano e del potere di Assad: Damasco. Con un attacco esplosivo contro il Ministero della Difesa, nel quale perse la vita il Ministro Dawoud Rahjia (primo cristiano a occupare quell’incarico nella storia della Siria repubblicana) insieme a diversi suoi collaboratori, anche la capitale (in particolare l’hinterland orientale della stessa) venne presa di mira dai terroristi.

Ovviamente tra la capitale effettiva e quella economica, i generali di Assad (tra cui Jassem al-Furaji e Ali Abdullah Ayyoob, subentrati nei posti lasciati vacanti dall’attentato) non ebbero dubbi su quale bisognasse salvare per prima. La cosiddetta ‘Operazione Vulcano’ dei terroristi venne sventata, al costo di lasciare parte di Aleppo in mano ai loro complici del Nord e di abbandonare temporaneamente il controllo sul cosiddetto ‘Ghouta Orientale’. Comunque si vede che anche nei momenti di maggiore intensità delle loro offensive i mercenari della NATO e dei regimi reazionari arabi non riuscirono mai a conseguire una netta vittoria sulle forze siriane e questo pattern divenne una costante dell’evoluzione delle vicende militari.

Una rinnovata spinta offensiva terrorista nell’autunno-inverno 2012-2013, che minacciò di interrompere i collegamenti tra la capitale e il suo hub aeronautico internazionale, vide l’emersione di un fenomeno che di lì a poco sarebbe intervenuto a modificare sensibilmente i rapporti di forza: la comparsa di milizie sciite volontarie che si dedicarono dapprima alla semplice guardia e protezione dei luoghi sacri dello sciismo siriano, ma in seguito divennero un’importante forza sul campo. Al principio del 2013, per arginare il fenomeno dell’usura delle unità militari regolari costrette a presidiare e pattugliare zone di territorio liberato dai terroristi, venne fondata ufficialmente la Forza di Difesa Nazionale, milizia popolare con limitate capacità di intervento sul campo di battaglia, ma più che sufficientemente qualificata a montare la guardia alle aree liberate, lasciando le truppe dell’Esercito libere di concentrarsi ‘a rotazione’ sui rimanenti fronti caldi.

Nel Nord continuava la battaglia di Aleppo: a costo di gravi perdite materiali e inauditi saccheggi delle zone industriali e lavorative, letteralmente sciacallate dai mercenari della NATO fedeli a Erdogan, il controllo della parte vitale della città non sfuggiva alle forze di Assad, che anzi trasformavano la Prigione Centrale in un imprendibile Alcazar, mentre cominciava a notarsi, tra le file terroriste, l’avvisaglia di una minacciosa metamorfosi. Fino a quel momento i gruppi principali dell’aggressione mercenaria erano stati il cosiddetto ‘FSA’ e il Fronte al-Nusra, affiancato da minori sigle islamiste, ma in seguito a una scissione prese forza e iniziò a emergere tra i fanatici una posizione ancora più estrema, quella del cosiddetto Stato Islamico di Irak e Levante (cioè di ‘Shams’, termine con cui si indicano Siria e Libano) o, in acronimo inglese, ISIS.

4. 2013: Interviene Hezbollah (Qusayr e Qalamoun) – Obama minaccia bombardamenti
Con l’inizio del 2013, visto il continuo fermento di attività terroristica sul confine siro-libanese, che andava coinvolgendo e colpendo i villaggi libanesi sulla direttrice Bekaa-Damasco, il Movimento libanese sciita Hezbollah decise di averne avuto abbastanza e iniziò a inviare truppe combattenti direttamente in Siria, ragionando che, dopo essere cresciuta ed essersi rafforzata notevolissimamente tra anni ’90 e primi anni 2000 anche grazie al sostegno di Damasco, fino a poter battere gli invasori sionisti sul campo due volte tra 2000 e 2006, la Resistenza libanese non poteva permettere la caduta di Assad col rischio di trovarsi schiacciata tra sionisti a Sud, estremisti del 14 Marzo a Nord e uno stato-fallito (o peggio una sorta di sceiccato wahabita) a Est, isolata da ogni possibile aiuto che potesse venirle dall’Iran amico.

Il primo gesto degli Hezbollah in Siria fu di contribuire decisivamente alla riconquista di Qusayr, che aveva resistito con successo nel 2012 a un attacco terroristico ma la cui periferia Nord ancora era infestata di elementi armati: nel corso di nemmeno due settimane, dall’ultima decade di maggio ai primi giorni di giugno 2013, il controllo governativo era ristabilito su tutto l’abitato con 3500 militanti stranieri tra morti, feriti e catturati. Intanto una nuova offensiva verso Aleppo impedì che le zone sotto controllo governativo venissero isolate dal resto del paese e cominciò a respingere i terroristi. L’arrivo dell’autunno permise una nuova imponente battaglia nella zona del confine col Libano che si concluse con una vittoria e la riconquista completa della zona del Qalamoun, mettendo praticamente fine al flusso di uomini, armi, finanziamenti e rifornimenti che islamisti e filosauditi libanesi avevano riversato quasi indisturbati verso la Siria per due anni e mezzo.

A fine estate 2013, con l’impostura dell’attacco chimico effettuato dai terroristi e di cui prontamente l’Occidente tentò di incolpare Assad, si corse seriamente il rischio di vedere un intervento militare unilaterale USA-Francia (tornate temporaneamente in sintonia sulla questione) contro Damasco e le zone governative del paese (senza la partecipazione di Londra, dove David Cameron venne bloccato da uno ‘scomodo’ voto parlamentare contro ogni tipo di coinvolgimento militare in Siria, fatto che ebbe importanti conseguenze) ma la determinazione e l’intuito politico del Cremlino trasformarono la possibile minaccia in un trionfo diplomatico che disinnescò per sempre l’obamiana ‘red line’ delle armi chimiche, di cui Assad si liberò constatandone l’inutilità nella situazione militare presente e l’obsolescenza come fattore di equalizzazione a fronte dell’arsenale nucleare sionista (sempre in crescita nel totale disinteresse dei paesi che invece vorrebbero strozzare nella culla il nucleare civile iraniano).

5. Tra ISIS e vittorie governative, prospettive per il futuro della Siria
Il 2014 si aprì con la definitiva emersione dell’ISIS come il principale gruppo islamico del fronte terrorista, posto che usurpò al Fronte Al-Nusra a suon di scontri intestini anche molto violenti (il cosiddetto FSA era già tramontato come forza significativa, nonostante in alcune aree avesse ancora una limitata presenza significativa) e con il rafforzamento del suo controllo sulla parte più deserta e spopolata del paese (nondimeno tatticamente importante visto che consentiva una continuità territoriale con le zone dell’Irak in cui era già presente).

Tuttavia la minaccia a Est non venne immediatamente ‘affrontata di petto’, giacché nella primavera 2014 il focus delle operazioni dell’Esercito era quello di bonificare le aree di campagna tra le varie città principali dell’Ovest per consentire un ordinato svolgimento delle elezioni presidenziali, la cui tenuta doveva suggellare la transizione alla nuova architettura costituzionale approvata nel 2012 e accettata dalla cittadinanza con il referendum confermativo e ancora con la massiccia partecipazione alle successive elezioni politiche (che si erano tenute nel maggio successivo al referendum).

Si può discettare se e quanto questo possa essere stato un errore, specie di fronte al fatto che le elezioni democraticamente tenute anche di fronte al più cavilloso e pignolo ‘controllo’ internazionale contano meno di zero di fronte alla volontà imperialista di destabilizzare e far crollare gli stati ‘scomodi’ anche se sostenuti dal più completo e totale appoggio popolare (vedi Cuba, Venezuela, Ucraina e persino il disconoscimento della chiara e ampia vittoria elettorale di Hamas nelle elezioni palestinesi del 2006), comunque Assad vinse larghissimamente la corsa al rinnovo del mandato presidenziale e l’ISIS divenne una presenza almeno semi-solida nell’Est della Siria.

Il resto del 2014 é passato con lo strangolamento della ‘sacca’ di Ghouta Est, nel Rif Dimashq, ormai arrivato a buon punto, con l’aggiramento sul fianco destro di quello che rimane delle forze terroriste a Nord di Damasco e con il collegamento tra le zone liberate della Provincia di Hama e quelle della Provincia di Idlib che rende sempre più impossibile spostamenti e riposizionamenti degli sbrindellati avanzi di quelle che pochi mesi fa erano ‘brigate’ terroriste di molte migliaia di uomini. L’ISIS stesso é sulla difensiva a Deir Ezzour dove il liberatore del campo profughi di Yarmouk, il Generale druso Issam Zahr Eddine lo ha cacciato dalla parte occidentale della città e dall’Isola di Sakr.

Nella sua disgrazia, che le ha causato 140mila vittime, milioni di profughi interni e inenarrabili privazioni la Siria ha tuttavia avuto molte fortune: essere stata protagonista del più importante e riuscito esperimento di creazione di una nazione del Mondo Arabo nel Secondo Dopoguerra, avere avuto un leader eccezionale come Hafez Assad negli anni ’70, ’80 e ’90, essersi riconosciuta pienamente nella figura di suo figlio Bashar, che non ha il carisma aggressivo del padre, ma rifulge tuttavia di qualità umane in cui é facile riconoscersi, avere in Mosca un alleato fedele e in Teheran un amico disinteressato, aver beneficiato della gratitudine di Hezbollah, movimento con cui nel 1985-87 aveva avuto persino scontri armati (nel corso della confusa Guerra Civile Libanese) ma che poi é diventato per Damasco (specie dopo il 1991) un interlocutore onesto e franco.

L’aggressione é finita? La guerra é vinta? Purtroppo la risposta a questi due interrogativi é la stessa e non é positiva, ma al ‘no’ iniziale chi scrive sente di poter far seguire un rincuorante ‘non ancora’ e, se i Siriani troveranno nei loro cuori e nelle loro anime ulteriori scorte di pazienza e abnegazione (capitali dei quali hanno già speso molto in questi quaranta mesi) e se nessun anello della catena di solidarietà che si é stesa intorno a Damasco si lascerà erodere o tranciare (e non ce ne sono veramente segni all’orizzonte) allora tale diniego sarà solamente temporaneo e alla fine la Siria potrà tornare a battere come il vivido, erubescente cuore del Mondo Arabo e un importantissimo snodo dell’Asse della Resistenza.

5 commenti:

  1. Ma perché sono mesi che sui siti pro governativi e pro assad il fronte meridionale (daraa e quneitra) è praticamente sparito?

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    1. Balle, confronta il sito: Almasdarnews.
      l ultimo progresso che hanno fatto è stato quello di catturare quattro villaggi intorno a daraa e conquistare mezza Sheik misken, seconda città più grande della provincia di Daraa

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  2. Parrebbe che il Col. Issam Zahr Eddine sia stato ucciso, Circola un video con il suo cadavere http://www.liveleak.com/view?i=9d1_1394275403&comments=1. Potete verificare la sua veridicità?

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    1. Non é un Colonnello é un generale e quelle voci sono CAZZATE

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  3. Però il problema è Raqqa e nell'articolo non se ne parla. La città è unnodo strategico vitale e l'ISIS la tiene in pugno. Bisogna concentrarsi su essa con tutte le forze.

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