martedì 20 maggio 2014

Grande affermazione di Nouri al-Maliki nelle elezioni politiche irakene: il Premier in carica stacca il secondo partito di 58 seggi!

Il Premier irakeno Nouri al-Maliki ha ottenuto 721.000 preferenze personali nelle recenti elezioni politiche del 30 aprile, portando il suo partito a conquistare 92 seggi. Subito dopo di lui si sono classificati, a cinquantotto lunghezze di distanza, i seguaci di Moqtada al-Sadr con 34 seggi, mentre il terzo partito sciita di Sayyed Hakim ha totalizzato 29 deputati.

Le formazioni curde del PUK e del KDP arrivano a 19 e 25 seggi a testa mentre solo le briciole rimangono per i sunniti di Osama Nujaifi con 23 parlamentari e del Blocco Arabiya di Mutlak, con 10 seggi. Visti i risultati a guidare nei prossimi anni il paese mesopotamico sarà una coalizione di partiti sciiti in cui Nouri al-Maliki, anche se non ricoprisse il premierato, avrà comunque un'importanza decisiva.

Si può certamente dire che i tentativi dell'Arabia Saudita di destabilizzare l'Irak con il terrorismo mercenario wahabita sono decisamente falliti, nel globale panorama di sconfitte rimediate da Riyadh nel corso di questi ultimi tre anni.



2 commenti:

  1. Forza vecchia roccia scita! Con te i Cristiani Iraqeni potranno tornare a casa e vivere in pace con i vicini Mussulmani.
    Nuove forniture di armi da Santa Madre Russia ed enormi accordi economici con I'Onorevole Dragone, ottimi rapporti con l'Iran e gli americulattonassassinpedofili fuori dalle scatole, ottimo lavoro Onorato fratello Nouri.
    Ivan

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  2. Gli Americani hanno ottenuto l'esatto opposto di quello che Busch jr e i neocon Dick Cheney e Donald Rumsfeld avevano prospettato quando decisero di eliminare il loro ex amico Saddam e distruggere l'Iraq. L'iraq di oggi, nonostante la vigliacca continua strategia della tensione portata avanti dalla Cia e dai sauditi, è in piena ricostruzione, ha stretto rapporti vari molto stretti con l'Iran, la Cina, la Russia, ed è rimasto saldamente nell'Asse di Resistenza, coordinandosi attivamente con i governi di Damasco e Teheran per la repressione dei gruppi takfiri/wahabiti e il sostegno alla Siria. L'iraq sta vivendo un "boom" petrolifero, con la produzione tornata ai livelli degli anni 80, con più di tre milioni di barili/giorno, con un incremento record di oltre un milione di barili in soli sei mesi. Nel 2013 è diventato il secondo produttore dell'Opec, ed attualmente è il primo fornitore della Cina. Oggi la Cnpc [China National Petroleum Corporation] ha posizioni di forza nello sfruttamento di una ventina di giacimenti, tra cui i pozzi di Rumailia, molto "ambiti" perchè nel sottosuolo vi sono 15-20 miliardi di barili, che sfrutta per il 38%, congiuntamente alla British Petroleum sempre al 38%, e il resto al governo Irakeno. Con un investimento di 3 miliardi di dollari si è aggiudicata più di recente i diritti di sviluppo per 23 anni del giacimento di Al-Ahdab, almeno un miliardo di barili nel sottosuolo e il potenziale di arrivare rapidamente a un milione di barili al giorno. Grazie agli introiti derivanti da questi accordi, il governo di Baghdad conta di arrivare a produrre 4 milioni di barili al giorno già quest’anno e 4,7 nel 2015, finanziando così gli ingenti investimenti pubblici che ha annunciato: 174,8 trilioni di dinari [pari a 150 miliardi di dollari] nel solo 2014, rispetto ai 138,4 trilioni di dinari dell’anno scorso. Un aumento del 26% nel budget che fa seguito a quello del 18% dell’anno scorso, motivato con le necessità ingenti della ricostruzione. Che è in pieno svolgimento a partire da Baghdad dove sorgono a ritmo serrato grandi centri commerciali, grattacieli per uffici, sfavillanti hotel a cinque stelle. Con l'economia in rapida ripresa, il governo può ora permettersi di destinare sempre più grandi cifre per nuovi equipaggiamenti militari, sopratutto dalla Russia e dall'Iran, che ultimamente stanno anche consentendo a Baghdad di ripulire il territorio dalla presenza delle bande Islamiste di takfiri/wahabiti foraggiati dai sauditi. Rimane solo il problema del Kurdistan e di qualche multinazionale petrolifera occidentale da sloggiare. La campagna Americana contro l'Iraq si è rivelata disastrosa per le politiche occidentali.

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