giovedì 23 febbraio 2012

I coraggiosi sciiti delle province orientali sfidano le minacce di Naif Al-Saoud e riempono strade e piazze da Qatif all'Isola di Tarut!


Non sono servite le minacce del regime di Riyadh contro gli abitanti sciiti delle province orientali, cui il Ministro dell'Interno Principe Naif al-Saoud aveva promesso "di usare il pugno di ferro" in caso di nuove manifestazioni, le strade e le piazze di Qatif, di Awamiyah, di Sawfa, di Saihat e dell'Isola di Tarut si sono di nuovo riempite di migliaia e migliaia di persone che pensano che sia meglio morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio, che credono che sia venuto il momento di dire 'basta' a un regime che si arricchisce e si ingrassa con le risorse naturali estratte da sotto i loro piedi e poi si rifiuta di ripartirne equamente i proventi.

Leader religiosi e della società civile sciita hanno rilasciato dure dichiarazioni contro le minacce saudite, indirizzate verso manifestanti pacifici che non chiedono altro se non equità, giustizia e la liberazione dei prigionieri politici 'desaparecidos' di cui il regime riconosce la cifra di 4663, quando invece le ONG umanitarie ne considerano il numero più vicino ai trentamila. Quarantuno figure di riferimento hanno firmato una dichiarazione che censura la tendenza di Riyadh a usare "linguaggio violento e militare contro un movimento civile che chiede solo di vedere riconosciuti diritti fondamentali".

E' da febbraio del 2011 che il popolo sciita delle province saudite affacciate sul Golfo Persico ha iniziato a sfidare il regime degli Al-Saoud, che ha sempre trattato la minoranza sciita come un gruppo di 'cittadini di serie b', sulla scorta delle rivoluzioni in corso in Barhein e Yemen, dove gli sciiti hanno un ruolo di primo piano nonostante la violenza sanguinaria usata contro di loro, cui la monarchia assoluta saudita presta supporto morale e materiale. Piuttosto che ragliare insistentemente su inesistenti 'rivoluzioni' in Siria Al-Jazeera e Al-Arabiya dovrebbero mostrare le immagini delle vittime di Casa Saoud e delle altre corrotte monarchie petrolifere del Golfo.

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