giovedì 24 febbraio 2011

Il "Kismet" di Muammar Gheddafi, 1970-2011

Quarantun anni orsono.

Si teneva un summit della Lega Araba al Cairo, il 27 settembre 1970, Gamal Nasser, stanco e provato dai continui viaggi a Mosca per le terapie con cui cercava di tenere sotto controllo il suo diabete e il suo cuore malandato, faceva gli onori di casa nel migliore dei modi a un vasto stuolo di ospiti che andavano dai monarchi degli emirati e sceiccati del petrolio, risplendenti nei loro costumi tradizionali riccamente decorati, a leader e presidenti che preferivano le giacche di taglio occidentale o il contegno marziale delle uniformi, ora mimetiche, ora gallonate.

Fra costoro, si contava la presenza di un 'nuovo arrivato', un baldo ventisettenne che, a capo di un circolo di ufficiali nazionalisti libici aveva detronizzato l'anziano e malato Re Idris dei Senussi, sovrano ottantenne che svendeva a prezzo di costo le ricchezze di petrolio e metano del paese alle "Sette sorelle" dell'imperialismo petrolifero anglo-americano e concedeva basi aeree all'aviazione a stelle e strisce.
Contro quello stato di cose Muammar Gheddafi e i suoi camerati erano insorti, cacciando il Re compromesso con lo straniero, ristabilendo "l'onore nazionale" in una fiammata di fervore patriottico; dopo essersi via via liberato dei compagni di strada il giovane ufficiale era rimasto unico e ultimo arbitro del destino di Tripolitania e Cirenaica, oltre che dell'immenso retroterra interno che aveva fatto denominare la Libia "scatolone di sabbia" a un politico italiano che non poteva sospettare quanta ricchezza fosse celata nel suo sottosuolo.

Gheddafi, circondato da sovrani adusi al potere da secoli e da leader che erano i suoi "idoli" come Bourghiba, Houari Boumediène e lo stesso Nasser, cercava disperatamente di darsi un tono, "compensando" le sue insicurezze e timidezze con un atteggiamento confidenziale e spavaldo, e aggirandosi con una pistola infilata nel cinturone, senza fondina, alla bravaccia, come una specie di reincarnazione di Pavolini.

L'attenzione dei convenuti era concentrata su Hussein, il piccolo reuccio di Giordania che, limitato nei sentimenti umani quanto nello sviluppo verticale (De André avrebbe detto "col cuore troppo vicino al buco del culo"), aveva pochi giorni addietro deciso di scatenare i suoi pretoriani beduini contro i Palestinesi dei campi profughi transgiordani "colpevoli" secondo il piccolo sovrano Hascemita, di preferire l'autorità di Yasser Arafat e dei suoi miliziani di Al-Fatah a quella dei reali gendarmi giordani.

Certo, chi conosce Fatah come la congrega di cacicchi calabraghe e collaborazionisti che é oggi stenterà a credere che un tempo fosse un'ardita banda di guerriglieri ribelli come quelli di "Guerre Stellari", ma, ricordiamo ai nostri lettori, si parla di quarantun anni fa. Hussein aveva avuto dunque modo di supervisionare lo scempio fatto dagli obici inglesi da 76 millimetri impiegati ad alzo zero contro le baracche dei rifugiati, prima di partire per il Cairo, e la portata e le conseguenze delle sue azioni erano, ovviamente, sulla bocca di tutti i convenuti.

Muammar Gheddafi, vedendo la possibilità di mettersi in luce, si lanciò in un commento tranchant: "Hussein di Giordania é un pazzo ad aver usato così indiscriminatamente l'Esercito contro la sua stessa gente, dovrebbe essere preso, incatenato come una fiera e portato a un manicomio!".

E' tutto vero.

Erano quarantun anni fa.

Ora il cerchio é compiuto, il giovane e insicuro ventisettenne in uniforme da rivoluzionario, ardente di fiamma patriottica e avverso alle influenze dell'imperialismo straniero è diventato un settuagenario che incrudelisce contro la sua gente con gli elicotteri da combattimento e i jet, per conservarsi il trono come un Mazzarò qualunque che non riesce ad accettare l'ineluttabilità del Destino.

Kismet, lo chiamano.


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