Un tribunale speciale militare di Amman ha condannato Uday abu Issa, appena diciottenne, a due anni di reclusione per avere "minato la dignità del Re", bruciando un manifesto con la foto del piccolo Abdullah II dopo averlo strappato dal muro durante una manifestazione a Madaba, località a Sud della capitale del regno ascemita. La protesta era stata scatenata dall'autoimmolazione di un impiegato statale, di cui avevamo dato puntuale notizia su queste stesse pagine.
L'avvocato di Abu Issa aveva impetrato il perdono della casa reale invocando la giovane età dell'imputato, ma evidentemente non é stato ascoltato. Anche la ONG umanitaria Human Rights Watch aveva chiesto di lasciar cadere le accuse contro il ragazzo, argomentando per bocca di Cristoph Wilcke che bruciare una immagine di un personaggio pubblico é un'affermazione politica, non un attentato e quindi non andrebbe perseguito come tale.
"Condannare come criminale questo atto lancia un messaggio agghiacciante: vuol dire dare a intendere che la critica alla figura e al ruolo del Sovrano é off limits, vuol dire mettere la Giordania al livello di monarchie assolute e dittature". Finora le frequenti dimostrazioni politiche che si susseguono in Giordania da almeno un anno non avevano mai rivolto biasimo alla figura del Re, ma piuttosto alla sua condotta indecisa nel pilotare un programma di riforma della Cosa Pubblica. Forse questo evento segnala un cambio di marcia nella protesta, dopo mesi di misure parziali e inefficaci forse i Giordani cominciano a vedere il Reuccio Abdullah come parte del problema piuttosto che della soluzione.
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