La famiglia Al-Ghirayib vive quotidianamente in una situazione che sembra presa da un racconto di Dino Buzzati o Gustav Meyrink, conseguenza delle politiche aggressive e razziste del regime ebraico di Apartheid nei confronti degli originari e legittimi abitanti della Palestina. Gli Al-Ghirayib, infatti, dieci persone, di cui quattro bambini, sono costretti a vivere entro una vera e propria barriera di metallo, eretta tutta attorno alla loro casa ancestrale e collegata all'esterno da un "tunnel" di sbarre metalliche lungo quaranta metri, che 'sbocca' nel villaggio palestinese di Beit Ijza, scavalcando una strada costruita dagli occupanti della Cisgiordania e circoscritta su entrambe i lati da una barriera di metallo alta 8 metri.
La stessa barriera circonda la semplice casa degli Al-Ghirayib, separandola e isolandola dalle villette recentemente costruite per ospitare i coloni ebrei fondamentalisti, "impiantati" nella zona come parte della politica di giudaizzazione forzata dei territori occupati illegalmente da Israele, in spregio a tutte le convenzioni internazionali in merito e in violazione degli "Accordi di Pace" pure sottoscritti a Oslo nel 1993 e mai formalmente rinnegati dallo Stato ebraico.
I palestinesi di Beit Ijza e delle comunità locali ammirano la determinazione dei loro vicini a non abbandonare la loro casa nonostante la metastasi dell'insediamento ebraico illegale e la costruzione della recinzione attorno ad essa: pure la pressione psicologica é grande, spesso i violenti e intolleranti coloni ebrei si attaccano alle sbarre della recinzione e gridano insulti ai bambini degli Al-Ghrayib, specialmente quando escono per andare a scuola o ne ritornano.
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