giovedì 9 dicembre 2010

Dopo il rogo: le fiamme del Carmelo scoprono le scomode verità che Israele vorrebbe celare! (1)

Quattro giorni dopo che il primo ministro Benyamin Netanyahu aveva annunciato un piano per incarcerare in un lager migliaia di lavoratori stranieri immigrati in Israele perché "minacciano la natura della nazione", un albero in fiamme é caduto su un autobus pieno di allievi guardie carcerarie, uccidendone quaranta. L'albero, un resinoso pino nordeuropeo, era uno delle migliaia avvolte dalle fiamme nel più grande incendio boschivo della storia del paese, quello che ha colpito la zona del Monte Carmelo e che si é esteso fino a lambire le propaggini della grande città di Haifa, la terza metropoli di Israele.

Dopo avere ingolfato nelle sue spire roventi 12.300 acri di terreno, il rogo é stato domato, non prima però di essere riuscito a mettere a nudo una delle molte colpevoli ipocrisie su cui é costruito lo Stato israeliano. Perché le foreste consumate dall'incendio del Carmelo erano il frutto degli sforzi del JNF, il Fondo nazionale ebraico per "ricoprire" letteralmente, con una cortina verde, le rovine bruciate dei villaggi palestinesi distrutti.

I villaggi che non vennero demoliti sperimentarono una "trasfusione di abitanti", via gli arabi palestinesi che li avevano fondati, edificati, ampliati e riparati, dentro i coloni sionisti arrivati dai quattro angoli del mondo, animati dal "sacro fuoco" che li spingeva a conquistare e domare la famosa "terra senza popolo"...dopo la tragedia della Nakba.

Un villaggio che subì questo fato fu Ayn Hawd, abitato dai Palestinesi ininterrottamente dal 12esimo secolo in poi; prontamente ribattezzato dai nuovi occupanti ebrei col nome di Ein Hod.

Nel 1953 uno scultore di origine romena chiamato Marcel Janko convinse l'esercito più morale del mondo a desistere dal proposito di spianare Ayn Hawd coi bulldozer e a lasciare che vi venisse impiantata una "comune artistica", che attraesse facoltosi galleristi americani e turisti in cerca di un'aria "culturale" per le loro vacanze, mostrando quindi al mondo quanto avanzato e cosmpolita fosse lo Stato ebraico.

Le case di pietra vennero occupate da pittori, scultori e altri artisti, mentre la moschea venne trasformata in bar, di Ayn Hawd, come del maiale, non venne buttato niente. Oggi i turisti che entrano a Ein Hod vedono la "Coppia pudica in una scatola di sardine", una scultura di Benyamin Levy che venne svelata dal presidente Shimon Peres nel 2001, raffigurante un uomo in frac e una donna nuda posizionati all'interno di una scatoletta di sardine.

Tre urrà per l'avanzata e cosmopolita scena artistica israeliana.

Ma i Palestinesi, come i rimorsi e i cattivi pensieri, non sono spariti.

Tutt'altro, ci sono ancora, sono distanti tre chilometri, chiusi in un piccolo villaggio costruito dai loro nonni dopo la Nakba, un villaggio che era tagliato fuori dalla linea visuale di Ein Hod proprio dai filari di pini piantati dal Fondo ebraico, barriera verde per impedire che la concentrazione dei creativi bohemien israeliani venisse guastata dagli sguardi di dozzine di pupille palestinesi che li fissassero con la stessa intensità accusatoria del battito del "Cuore rivelatore" nell'omonimo racconto macabro.

Il villaggio palestinese ha ripreso il nome che contrassegnava l'attuale Ein Hod e, dal 1949 al 2005, non ha ricevuto da Israele acqua corrente, energia elettrica o alcuna misura di igiene urbana, anzi, gli israeliani negli anni '70 lo recintarono per prevenirne una "ulteriore crescita", si sa che gli israeliani sono molto attenti alla crescita dei loro insediamenti illegalmente costruiti su terra rubata, bene, altrettanto puntigliosi e precisi lo sono nel limitare e prevenire la crescita palestinese, soprattutto quella dei bambini che assassinano con metodo e lena, e a cui tagliano i viveri, come a Gaza, proprio nell'età dell'infanzia e dell'adolescenza, che sono appunto parte della fase di sviluppo e crescita di un essere umano.

Ma nel 2005 Ayn Hawd venne riconosciuto ufficialmente da Israele: poteva avere acqua, fogne, raccolta dei rifiuti e luce e corrente elettrica.

Chi ha detto che la vita dei Palestinesi in Israele é dura? Qualche comunista senza dubbio, qualche antisemita, qualche sfigato tremebondo ebreo pacifista che si auto-odia!

Magari é un pochino più dura per gli abitanti degli oltre quaranta villaggi di discendenti della Nakba che ancora non sono riconosciuti da Israele e che a sessantadue anni dall'esproprio delle loro case (o delle case dei padri, o dei nonni) vivono nelle condizioni in cui versava Ayn Hawd (II) fino al 2005; la maggior parte di questi villaggi "fantasma" sono nel Negev.

E qua entriamo in un territorio molto interessante, che esploreremo nella seconda parte di questo articolo...

1 commento:

  1. Ottimo articolo. Israele sta cercando in ogni modo di cancellare la storia dei palestinesi, per poi dire, come già disse Golda Meir, che "non esiste un popolo palestinese", e che quindi tutta la Palestina appartiene ai sionisti. Sta avvenendo una pulizia etnica della Palestina sotto gli occhi di tutti, ma "l'occidente" che si era promesso di "vegliare", dopo l'olocausto, contro nuove pulizie etniche, resta in silenzio...

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