sabato 4 dicembre 2010

Abbas: "Se il processo di pace naufraga scioglierò l'Anp!"


Mahmoud Abbas, capo di Fatah ed ex-presidente dell'Autorità nazionale palestinese che continua a occupare tale carica nonostante il suo mandato sia scaduto nel gennaio 2009, ha dichiarato che se nessun 'accordo di pace' verrà raggiunto con Israele sotto gli auspici della comunità intenrnazionale, e non verrà quindi creato alcuno Stato palestinese secondo i dettami della famigerata "Soluzione a due stati" potrebbe essere costretto a sciogliere l'entità di autogoverno, essendo la stessa stata creata unicamente come soluzione pro-tempore in vista della costituzione di un vero e proprio apparato statale palestinese.

Abbas ha fatto tale affermazione in un'intervista rilasciata ieri, aggiungendo che, con la continua moltiplicazione ed espansione delle colonie illegali israeliane in Cisgiordania, il collasso totale delle 'trattative' é pressoché assicurato.
"Non posso rimanere presidente di un'Autorità che é tale solo di nome", ha quindi aggiunto.
Sarà forse possibile mettere definitivamente in archivio simili cartoon?
Si può eccepire sul fatto che a 23 mesi dalla scadenza del proprio mandato Abbas si consideri ancora legittimamente 'Presidente' dell'Autorità (in realtà non ha indetto nuove elezioni in Cisgiordania, la parte di territorio palestinese che la sua fazione Fatah controlla dopo il fallito Colpo di stato del 2007 per non fare apparire evidente quanto labile sia il consenso di cui tale organizzazione gode fra gli abitanti della West Bank, in maggioranza favorevoli ad Hamas), ma certamente le sue conclusioni sullo status e l'opportunità di mantenere in vita l'infingimento dell'autonomia palestinese quando essa viene frustrata e negata ad ogni passo dagli ostinati e distruttivi atteggiamenti israeliani é solo logico e conseguente.
Le strette di mano sono state molte, ma i risultati sorprendentemente pochi. Abbas sembra trarre le conclusioni del naufragio del "Processo di Pace".
Rivolgendosi retoricamente al Governo israeliano Abbas ha detto:

"Benvenuti, volete occupare la Palestina? Siate occupanti fino in fondo, accomodatevi, prendetene la piena responsabilità, io non ho più intenzione di aiutarvi in tal senso".

Non più tardi di una settimana fa segnalavamo su un nostro articolo la possibilità che da qualche parte nella schiena di Mahmud Abbas rimanesse un sottile residuo di spina dorsale, se a queste parole dovessero seguire dei fatti (magari accompagnati da uno svincolamento -tardivo ma sempre ben accetto- dal carrozzone filoamericano e da una ricomposizione dell'unità nazionale palestinese) saremmo i primi a salutarli con tutto l'entusiasmo del caso.

Fra tamburi di guerra e paranoie razziste, Israele vive la tragedia dell'incendio sul Monte Carmelo

L'enorme rogo che ha avvolto le pendici del Monte Carmelo, frutto di un autunno incredibilmente caldo e secco (cortesia del Riscaldamento Globale), è stato il peggior disastro di questo genere nella storia recente di Israele; finora é costato la vita di quaranta secondini israeliani, avvolti dalle fiamme mentre a bordo di un pullmino si dirigevano alla prigione di Damon i cui carcerati, in massima parte Palestinesi dei territori occupati dallo Stato sionista, sono stati evacuati con grande dispiego di forze (infatti i morti non erano nemmeno guardie carcerarie "in servizio" ma studenti dell'accademia di polizia, inviati sul luogo come 'rinforzo' per le operazioni di sgombero).

Più che l'aspetto ambientale o umanitario della questione, tuttavia, quello che ha colpito la nostra redazione, (che pure ha registrato con soddisfazione l'offerta di aiuti antincendio da parte della Turchia, segno evidente che anche l'accesa ostilità di Ankara verso il regime dell'Apartheid passa in secondo piano di fronte alla prospettiva di salvare vite e patrimonio naturale) é stato l'articolo di Haaretz nel quale il cronista Aluff Benn getta un ardito ponte fra la presente tragedia del Carmelo e la prospettiva di future guerre che possano vedere coinvolto lo Stato ebraico.

Citiamo direttamente:

"L'avvertimento del dimissionario Capo dell'Intelligence militare Amos Yadlin, che la prossima guerra sarà ben più difficile delle passate e che Tel Aviv diventerà una linea del fronte, non é stata trasformata in provvedimenti e misure efficaci dalle autorità della protezione civile...".

"In simili circostanze è consigliabile che Israele non inizi una guerra contro l'Iran, che sicuramente vedrebbe il lancio di migliaia di missili contro di noi..".

Inoltre, il preoccupato (e preoccupante!) giornalista di Haaretz ha trovato motivo d'allarme persino nella generosità mostrata, nei confronti di uno Stato che dovrebbe essere (e per molti versi é) considerato "pariah" dal consesso delle Nazioni:

"L'aviazione militare ha dovuto allestire un ponte aereo verso la Francia per portare in patria ritardanti chimici da usare contro il rogo, in tempo di guerra non ci sarebbe certo una simile mobilitazione internazionale per aiutare Israele...".

Un simile esercizio di paranoia bellicistica, perdipiù messo in atto mentre una nazione si trova in ginocchio per un imprevedibile e tragico disastro naturale, ci lascia senza fiato e senza parole, salvo forse quelle necessarie per presentare i deliri di mister Benn ai nostri lettori, mettendoli in guardia sul fatto che, lungi dall'essere uno 'scombinato' di Debkafile o del Memri è redattore di Haaretz a tutti gli effetti e i cui scritti vengono ripresi e ospitati su testate internazionali come il Guardian, il New York Times e Newsweek.

Grazie a simili "polpette velenose" come quelle preparate e spacciate da mister Benn la cricca filosionista dei media internazionali vuole convincere il mondo dell' "inevitabilità" di una guerra fra Israele e Iran, una guerra che é resa sempre più probabile soltanto dall'ossessione israeliana sul pacifico programma nucleare di Teheran, più volte indagato dai competenti organismi internazionali senza che nulla di incriminante o anche solo sospetto emergesse in merito.


Intanto, su altri mezzi di comunicazioni sionisti, si diffondono le teorie del complotto su presunti "terroristi arabi" che avrebbero appiccato il fuoco sul Carmelo...forse il nazismo ebraico ha trovato il proprio "Incendio del Reichstag" e prepara una "Notte dei Cristalli"?



Noi di Palaestina Felix seguiamo gli eventi, sperando nel meglio, preparati al peggio, pronti a portarvi l'informazione precisa e circostanziata e l'opinione libera e indipendente a cui vi abbiamo finora abituato...

"Effetto Hezbollah" anche in Irak con il movimento di Moqtada al-Sadr?


A otto mesi dalle elezioni politiche irachene il ruolo centrale del movimento sciita guidato da Moqtada al-Sadr, figlio del grande capo religioso a cui é intitolato il più grande sobborgo sciita di Bagdad (Sadr City, da Mohammad Baqir al-Sadr) appare, in prospettiva, come il risultato più evidente e consolidato, nonostante tutte le manovre sottobanco e le procrastinazioni portate avanti dall'amministrazione Obama per marginalizzare il giovane leader e per cercare di restituire un ruolo alla principale pedina americana in Irak, lo sfiatato e screditato Allawi: dilazioni e tentativi che si sono risolti con un enorme buco nell'acqua.

Giovane e impetuoso, Moqtada al-Sadr ha avuto molte difficoltà a fare accettare la sua autorità, pur corroborata dalla sua illustre ascendenza, in una comunità come quella sciita, che ha molto rispetto per l'autorità religiosa ma preferisce solitamente vederla incarnata in una figura anziana, tradizionale garanzia di prudenza e saggezza; fra il 2004 e il 2008 egli ha a più riprese guidato i suoi seguaci dell' "Esercito del Mahdi" in scontri armati con gli occupanti stranieri e con le forze irachene da essi controllate, trovandosi anche ai ferri corti con quello che ora, nella coalizione di Governo uscita dalle urne primaverili, é il suo più stretto alleato in funzione anti-Allawi, il premier Nouri al-Maliki, di etnia sciita, capo del blocco "Stato e Legalità".

Adesso, con 29 deputati eletti nelle ultime consultazioni, con l'Esercito del Mahdi sempre attivo ed ancor meglio equipaggiato e addestrato di due anni fa, capace di aggiungere la forza delle armi agli argomenti politici del suo leader, una retorica pubblica che non ha mai abbandonato i cavalli di battaglia della resistenza all'occupazione occidentale e della liberazione del suolo patrio dalla loro presenza, Moqtada al-Sadr preoccupa Washington per la decisa possibilità di incarnare, fra Tigri ed Eufrate, una nuova manifestazione del "Fenomeno Hezbollah", secondo il cui templato un movimento di Resistenza sciita, ben inserito e intrecciato nella società, con un'alternanza di metodi diplomatici e militari può assumere la preminenza in uno scenario che Washington preferirebbe lasciare appannaggio dei propri agenti e dei propri proxy.

Naturalmente, un così rilevante successo e una così invidiabile posizione non sono frutto del caso: Moqtada oltre un anno prima delle elezioni dello scorso marzo mise in piedi un "Comitato di strategia elettorale" che venne da loro stessi denominato "La Macchina", che aveva come scopo ultimo trovare la maniera migliore per sfruttare a proprio vantaggio il complicato e farragginoso sistema elettorale messo in piedi su ordine di Washington nel tentativo di favorire Allawi, il pupillo della Casa Bianca. Gli sforzi di esperti demografi, statistici e osservatori politici generarono un massivo database che aiutò il movimento sadrista a ottenere i risultati più brillanti di tutta la coalizione in cui era inserito (l'Alleanza nazionale irakena).

Sulle pagine del Los Angeles Times Patrick Cockburn, autore del libro "Muqtada" ha definito il movimento sadrista "l'unica forza genuinamente interconnessa e sostenuta dalla società civile irakena"; altri cronisti del foglio californiano fanno notare come, raggiunto a metà ottobre l'accordo fra Sadr e al-Maliki quest'ultimo si sia subito "sdebitato" facendo liberare dozzine di leader e militanti incarcerati in occasione degli scontri di due anni fa. Quando, in seguito al clima di cooperazione fra "Stato e Legalità" e l'"Alleanza nazionale irakena" verrà nominanto un Esecutivo ai sadristi potrebbero toccare posizioni chiave come le amministrazioni carcerarie, la coordinazione e supervisione delle forze di polizia e sicurezza, forse anche nel Ministero della Difesa.

Moqtada al-Sadr ha certamente molta strada da percorrere prima di giungere ai livelli di prestigio e influenza di cui gode un Hassan Nasrallah, ma, se il buon giorno si deve vedere dal mattino, sembra essere messo in posizione strategica e privilegiata per riuscire a emularne il successo.

Bestiale! Ebrei fondamentalisti minacciano sopravvissuto all'Olocausto: "affitta agli arabi!"


Safed é una cittadina di circa trentamila anime a nord-ovest del Lago di Tiberiade oggi, grazie all'espulsione violenta del 90% dei suoi abitanti durante la Nakba, tutti i suoi abitanti sono Ebrei ma, prima del 1948, vi vivevano oltre 11.000 Palestinesi. Non soltanto, ma, qualora tentino di tornarvi per qualunque ragione, i cittadini israeliani di etnia araba sono visti con sospetto, ostracizzati, insultati e aggrediti per strada, nel più puro "Stile Apartheid".

L'atmosfera segregatoria e razzista é pesante e copre Safed come una cappa, come accadeva nelle sonnacchiose cittadine americane a sud della "Linea Mason-Dixon" prima degli anni '60 e del Movimento per i Diritti civili, ma, a ben guardare, i segni dell'ostilità, della violenza che cova sotto un'apparente normalità sono più che evidenti.

Sulle panchine che punteggiano i parchi e i giardini del locale Collegio accademico si vedono goffi e rozzi messaggi lasciati dai proseliti del razzismo ultranazionalista e religioso: "Vietato a cani, porci e Arabi", "La vita é bella senza Arabi", "Morte agli Arabi, chi non é d'accordo?".

Ad esempio, ci viene in mente, Eli Tzvieli non é d'accordo.

Eli Tzvieli ha ottantanove anni ed é nato in Ungheria, da giovane ebbe la sfortuna di incontrare persone che si rivolgevano a lui e ai suoi amici e familiari Ebrei come oggi gli Ebrei ultraortodossi di Safed fanno verso Arabi e Palestinesi: erano le SS di Hitler e Himmler e le Croci frecciate di Ferenc Szálasi. Tzvieli scampò per poco alla deportazione ad Auschwitz, ma passò comunque molti mesi in un campo di lavoro forzato in Ungheria, dove venne sopposto a privazioni ed angherie che ricorda con vividezza persino dopo sessantacinque anni. Emigrato in Israele nel 1950 ha lavorato come impiegato dei servizi sociali e ha giurato di non trattare mai nessuno come lui venne trattato in gioventù.

Così, quando il vicino di casa del signor Tzvieli, il rabbino ultraortodosso Shmuel Eliyahu (figlio di un ex-Rabbino Capo di Israele) ha intimato ai residenti di Safed di non affittare locali o stanze ad Arabi, l'anziano ma determinato sopravvissuto alla Shoah si é limitato a fare spallucce: lui ospitava tre affittuari arabi in un suo appartamento, studenti del College locale che pagavano puntualmente l'affitto ed erano più che decorosi e gentili, non li avrebbe certo mandati via.

Da allora sono iniziati gli ostracismi, le intimidazioni, gli atti di vandalismo e persino, in un caso, l'esplosione di un colpo di arma da fuoco fuori dall'appartamento in questione, da parte di un milite della polizia di confine; siccome, perfino fra i cittadini di uno Stato etnocratico e permeato di razzismo come Israele, le persone decenti e perbene non mancano, una delegazione di esponenti del partito di Sinistra Meretz ha visitato il signor Tzvieli e i suoi affittuari, per rassicurarli che non tutti gli Ebrei israeliani condividono le posizioni razziste e discriminatorie del rabbino Eliyahu e dei suoi fedeli.
Il rabbino razzista Eliahu certo non si aspettava di vedere la sua "ingiunzione" trattata come carta straccia dalla fermezza del signor Tzvieli.
Certo, visite e solidarietà non risolvono la questione, ma possono fare una differenza se convincono qualche altro safedita decente e umano (ve ne dovrebbero essere altri) a prendere il coraggio a due mani e a schierarsi con l'anziano Tzvieli, fisicamente fragile, ma in possesso di un'integrità e di un coraggio morale da vero "Giusto di Israele".

venerdì 3 dicembre 2010

La beneficienza di Al-Rahma lenisce in parte le sofferenze di Gaza

L'agenzia stampa Kuwaitiana "Kuna" ha rilasciato un comunicato riguardante i molteplici progetti dell'associazione di beneficienza Al-Rahma che coinvolgono la Striscia di Gaza, dove, a due anni quasi esatti dallo scatenarsi del brutale "pogrom" militare israeliano ancora tante, troppe famiglie vivono nelle ristrettezze e nella precarietà, prolungate dal perdurare dell'inumano assedio che impedisce alla popolazione palestinese di procurarsi, con il lavoro e il commercio, il necessario per sanare le ferite materiali lasciate da "Piombo Fuso".

Nella giornata di giovedì 2 dicembre Al-Rahma ha ufficialmente consegnato ai loro nuovi occupanti 400 moderne unità abitative appena completate ad altrettante famiglie del campo di rifugiati di Jabalia; la prontezza della consegna é stata veramente provvidenziale visto che, esaurita l'attuale ondata di caldo secco fuori stagione, con ogni probabilità anche la Striscia entrerà pienamente nell'inverno, stagione che, nonostante la latitudine e la presenza del mare, fa registrare notevoli escursioni termiche fra il giorno e la notte con temperature anche piuttosto basse.

La cerimonia di consegna é avvenuta di fronte a una delegazione kuwaitiana dell'OIC, l'Organizzazione della Conferenza islamica, che comprendeva Sheik Abdullah al-Senan, del comitato di beneficienza kuwaitiano per la Palestina, Fouad al-Mazanee, Direttore degli Affari umanitari dell'OIC e da Waleed al-Anjari, capo della sezione di Gaza di Al-Rahma; era inoltre presente il Ministro dei Lavori pubblici e dell'Edilizia palestinese Yousef al-Mansi.

Durante il discorso inaugurale, tenuto di fronte alle famiglie beneficiarie delle nuove case e a una folla riconoscente di centinaia di altri Palestinsi al-Anjari ha dichiarato che la sua organizzazione ha appena stanziato mezzo miliardo di dollari per la ricostruzione di altre cento unità abitative e sta stilando un ancor più ambizioso piano di ricostruzione che dovrebbe restituire un tetto sulla testa ad altre mille famiglie di sfollati che attualmente si accontentano di vivere in tende o baracche.

L'associazione Al-Rahma, grazie ai cui sforzi la torre Al-Sultan é stata recentemente riaperta, sta altresì progettando di creare un allevamento bovino (per venire incontro alle gravi carenze alimentari che minano la salute e la crescita dei giovani abitanti della Striscia) e un impianto di compostaggio per trasformare le deiezioni dei capi di bestiame in concime per l'agricoltura locale.

Giovane di etnia drusa incarcerato da Israele per obiezione di coscienza!


Truppe israeliane hanno tratto in arresto Ajoud Jamal Zaydan, un cittadino israeliano di etnia drusa, diciottenne e residente nel villaggio di Beit Jan, "reo" di non voler prestare servizio nell'esercito dello Stato ebraico. Ajoud si era recato al Distretto militare di Tel Aviv giovedì mattina, come prescritto dalla cartolina di chiamata alle armi, ma, una volta di fronte agli inquadratori, ha rifiutato di proseguire nelle procedure di arruolamento, dichiarandosi consapevole e disposto ad affrontare le conseguenze del caso e citando motivi di coscienza come fondamento della propria decisione.

Il padre del giovane, il conosciuto e rispettato professor Jamal Zaydan e i suoi fratelli maggiori Muhammad e Arwa si erano a loro volta rifiutati di vestire l'uniforme sionista; l'incarcerazione di Ajoud, quindi, non é che una tappa nella lotta che la famiglia Zaydan conduce per affermare il diritto di non diventare carnefice e persecutrice del resto della comunità palestinese, di cui si sente parte integrante a prescindere dalle differenze di setta religiosa.

I drusi seguono una religione che deriva dall'Islam ma, sotto diversi aspetti, potrebbe esserne considerata una specie di "eresia" (secondo i canoni di giudizio occidentali), che ha come figura centrale il sovrano storico Al-Hakim, sesta "guida" dello sciismo fatimide, che regnò dal Cairo su un vasto dominio che andava dal Sahara occidentale alla Turchia e scendeva lungo il Nilo fino all'Eritrea e all'odierno Sudan centrale.

Figura complessa e dibattuta, ricordato per la sua sfolgorante politica culturale (fece allestire un'enorme biblioteca che riempì di oltre seicentomila volumi, denominandola 'Khizānat al-kutub' -Il Tesoro dei libri-) e per le sue intemperanze e stravaganze che inclusero una politica vessatoria nei confronti delle altre sette musulmane e delle altre religioni e la distruzione col fuoco della cittadina di Fustat, poi inglobata come povero sobborgo dalla crescita del Cairo, Al-Hakim viene considerato dai Drusi come un Messia ed é al centro di un complesso sistema di fede che mescola elementi musulmani, cristiani e persino derivati da culti gnostici ed esoterici.
Ai Drusi venne permesso di servire nelle forze armate israeliane, seppure in unità segregate, come ai neri americani fino agli anni '50.
Con la fondazione dello Stato israeliano i dirigenti sionisti, fedeli al motto "divide et impera" pensarono di servirsi della Comunità drusa per spezzettare l'unione interreligiosa e interetnica degli abitanti della Palestina; infatti a essi vennero riconosciuti molti diritti negati ai cittadini arabi di Israele, fra cui, ad esempio, quello di portare le armi nelle forze armate nazionali. Tuttavia, dal 1972 in avanti all'interno della loro comunità venne formandosi un movimento sociale e politico che si prefiggeva l'obiettivo di restaurare la "palestinesità" dei drusi, colmando il gap che il diverso trattamento da parte dello Stato sionista aveva scavato fra essi e gli altri loro compatrioti cristiani e musulmani.
Protesta Drusa del 2009 contro l'iniquo trattamento economico delle loro comunità rispetto ai cittadini Ebrei.
Questo movimento, focalizzato dall' "Arab Druze Initiative Committee", si é sempre opposto all'arruolamento dei ragazzi drusi nello Tsahal, e anche in questo caso ha fatto sentire la propria voce con un comunicato stampa nel quale si legge che la famiglia dell'obiettore deve essere "rispettata e onorata per aver evitato che i suoi figli divenissero parte del sistema repressivo di Israele". L'unità del Comitato arabo druso che si occupa di assistenza legale ai "refusnik" della loro comunità si é immediatamente attivata per prestare aiuto anche al giovane Ajoud.

giovedì 2 dicembre 2010

Giraldi: gli Usa hanno il dovere di sanzionare i comportamenti israeliani

Ieri abbiamo pubblicato una dichiarazione del Segretario dell'Ufficio politico del movimento Hamas, che denunciava come il sostegno degli Stati Uniti a Israele, incondizionato e permanente, anche di fronte alle più gravi violazioni del Diritto internazionale e delle più elementari norme di umanità, non ha altro effetto se non rassicurare lo Stato ebraico che mai nessuno gli presenterà mai alcun conto per i suoi abusi e le sue violenze. Ovvianete i "fallaci" crociati del neo-teo-conservatismo filosionista salterebbero su a gridare che queste sono le opinioni di un "terrorista islamico" che odia la libertà e la democrazia, che probabilmente sta preparando gas mortali e bombe atomiche in cantina e che, se potesse, cercherebbe di "distruggere il mondo" (come il brillante Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, pretende che voglia fare Julian Assange).

Ma non differentemente dal "pericoloso terrorista islamico" si esprime una personalità informata e assennata come Philip Giraldi, già operatore dell'intelligence militare statunitense, che proprio in nome di quei valori "conservatori" non perde occasione di criticare i "neocon" filosionisti e i loro grandiosi e irrealistici piani di conquista mediorientale e di sostegno permanente di Israele che, a suo dire, fanno sprecare agli Usa miliardi di dollari che potrebbero più utilmente investire altrove e li legano a uno "stato canaglia" imprevedibile e con una lamentabile 'fedina', attraendosi l'antipatia e il disprezzo di una larga fetta di opinione pubblica mondiale.

Così, in un recente editoriale pubblicato dal sito Antiwar.com, si esprime Giraldi:


Un ex-ambasciatore usa in Israele, Daniel Kurtzer, ha scritto un articolo ricco di considerazioni condivisibili, fra cui, fra le altre, si trova quella che 'lanciare' concessioni e regalie in direzione di Bibi Netanyahu nel tentativo di ottenerne concessioni relativamente misere sul 'congelamento delle colonie' e sulla ripresa dei "colloqui di pace" coi Palestinesi é una scelta radicalmente e drammaticamente sbagliata. Kurtzer nel suo scritto nota che tale scelta rappresenta, a livello diplomatico il primo "riconoscimento" ufficiale da parte statunitense del processo di esproprio e colonizzazione di terre palestinesi, cosa che costituirebbe, a livello politico un pericoloso precedente.

E poi, una volta consegnati gli aeroplani e gli aiuti promessi, e trascorsi i tre mesi di "congelamento" (ammesso e non concesso che di vero 'congelamento' si tratti), si tornerebbe al punto di partenza; cosa impedirebbe a Netanyahu (o chi per lui) di tornare alla carica con la mano tesa, cosa chiederebbe questa volta? Netanyahu, in privato e a volte nemmeno troppo privatamente, disprezza il presidente Obama, e ha correttamente arguito che il suo tentennare, la sua mancanza di risolutezza, il suo tergiversare alla ricerca di un espediente che lo sollevi dalla responsabilità di prendere una decisione esplicita e finale nei confronti della questione (che lo metterebbe in ulteriore urto con la Israel Lobby, visto che non avrebbe altra scelta se non sanzionare duramente lo Stato ebraico per la sua mancanza di cooperazione), mettono Israele nella condizione di poter compiere qualunque gesto non importa quanto estremo (vedi il massacro della Mavi Marmara o la campagna di espulsioni di cittadini palestinesi, e le continue distruzioni delle loro proprietà e delle loro strutture) senza alcun timpre di doverne poi scontare le conseguenze.

Tale stato di cose durerà fino a che la Casa Bianca non deciderà che per Israele é arrivato il momento di assumersi la piena responsabilità per i propri atti e che lei stessa é l'unica entità in grado di poter fornire le sanzioni e i disincentivi necessari.

Recentemente trentanove parlamentari americani hanno firmato una petizione per la liberazione della spia israeliana Johnatan Pollard, condannata all'ergastolo per aver violato ripetutamente i livelli massimi di segretezza militare americana in favore dello Stato ebraico, ricevendone in cambio uno stipendio di millecinquecento dollari mensili, un anello di fidanzamento con diamanti e zaffiri e un 'bonus' ulteriore di diecimila dollari per la "prima consegna" di informazioni sensibili. Questi parlamentari dovrebbero ricordare di essere stati eletti su suolo americano da voti americani, che é loro dovere difendere gli interessi nazionali americani prima di tutto e che molto raramente (se mai del tutto) essi hanno coinciso con i desiderata e le esigenze dello Stato di Israele e che, se proprio vogliono mobilitarsi con Israele, possono farlo molto più utilmente persuadendolo finalmente a comportarsi in maniera razionale e responsabile.

Il Belgio dona 600mila Euro per i rifugiati palestinesi in Libano

Un miliardo e 188 milioni di lire libanesi (LBP), questo il valore in valuta locale della donazione fatta dal Governo belga all'UNWRA, l'agenzia delle Nazioni unite che si occupa dei rifugiati palestinesi che, a sessantadue anni dalla Nakba che espulse i loro progenitori dalla terra che avevano legittimamente occupato da sempre, ancora vivono in condizioni difficili e precarie, nei famigerati "campi profughi".

La donazione integrerà un precedente emolumento belga stanziato per la ricostruzione del campo profughi di Nahr al-Bared, che venne distrutto tre anni fa nel corso di violenti combattimenti fra l'Esercito libanese e un gruppo armato denominato "Fatah al-Islam" (niente a che vedere col Fatah della Cisgiordania) e presentato dai pochi rapporti dei media in proposito come una sorta di organizzazione Qaedista in Libano.

Durante i tre mesi di intermittente battaglia fra i militari e i presunti islamisti, contrassegnati da agguati, sparatorie e vendette circa 40 civili, 167 militari libanesi e 200 guerriglieri avrebbero trovato la morte, mentre oltre 30mila profughi palestinesi hanno dovuto abbandonare quello che nel corso dei decenni era diventato da accampamento una cittadina semi-stabile di baracche e semplici costruzioni in muratura, simile alle favelas brasiliane.
Nahr al-Bared dopo la fine dei combattimenti.
Con la donazione odierna l'impegno finanziario belga a favore dei rifugiati di Nahr al-Bared si avvicina alla soglia dei tre milioni di Euro, una cifra che fa veramente onore alla dedizione di Bruxelles alla causa umanitaria palestinese, specialmente in un periodo di ristagno ed incertezza economica come questo, in cui molti governi occidentali sono piuttosto interessati a tagliare spese anche necessarie, come quelle educative, sanitarie, pensionistiche.

"Dashed Hopes": così Israele viene meno alle promesse fatte su Gaza

"Dashed Hopes: Continuation of the Gaza Siege", questo il nome del memorandum sostenuto da ben ventuno organizzazioni non governative attive nei campi dell'aiuto umanitario e del sostegno dei diritti umani con l'obiettivo di arrivare quanto prima a un "immediato, incondizionale e completo" scioglimento dell'assedio israeliano alla Striscia di Gaza, trasformata in un vero e proprio "Ghetto" come quello di Varsavia nella Seconda Guerra mondiale.

Le ONG in questione (fra cui Amnesty International, la Chiesa di Svezia, Save the Children, Pax Christi e il Consiglio norvegese per i Rifugiati) si concentrano specialmente su tutte le promesse disattese dallo Stato sionista rispetto alle assicurazioni date nel giugno 2010 per "allentare" la stretta su Gaza.

La lettura di quanto era stato promesso e del poco (se non niente) che é stato realizzato é particolarmente penosa e mostra, in tutta la necessaria chiarezza, come Israele consideri trattati e impegni sottoscritti poco più che come carta straccia, né più né meno di quanto facevano altri Stati aggressivi e sterminatori come il Terzo Reich e gli Stati Uniti del genocidio indiano.
Disegnando questo amaro 'cartoon' nel 2007 Carlos Latuff non poteva immaginare che, da lì a pochi mesi, Israele avrebbe cominciato davvero a "tagliare teste" (e braccia e gambe e mani) con la sua brutale aggressione militare contro i civili di Gaza.
Israele aveva promesso che avrebbe lasciato affluire fino a 250 camion di merci e materiali al giorno tramite il valico di Kerem Shalom...a sei mesi dalla promessa il massimo influsso registrato (in una giornata isolata e non rappresentativa di alcun trend) é stato di 183 carichi; aveva altresì promesso che avrebbe aperto il nastro di trasporto del varco di Karni a 360 carichi di merce alla settimana, ma attualmente ne passano soltanto 137 a settimana; Israele aveva promesso la totale apertura delle esportazioni da Gaza ma, fatto salvo per il permesso di esportare fragole (rilasciato per le forti pressioni di agenzie umanitarie), la situazione non é cambiata da giugno e le esportazioni di tutti gli altri generi sono bloccate; le forze armate israeliane impediscono l'accesso al 35 per cento di terra coltivabile della Striscia e all'85 per cento delle acque pescabili di fronte ad essa.

In tutto il territorio assediato vi sono 40mila scolari e studenti senza scuole e classi da frequentare, risultato diretto della scientifica e precisissima campagna di bombardamento aereo e d'artiglieria condotto dal famigerato "Esercito più morale del mondo" durante il suo "pogrom" militare di due anni fa. L'assedio, prolungamento e continuazione della "punizione collettiva" iniziata con "Piombo Fuso" non é stato mirato contro Hamas, come sostenuto dai pettoruti generali di Tsahal, ha avuto come obiettivo primario le infrastrutture civili di Gaza, per rendere impossibile la vita alla popolazione.

Secondo una dichiarazione rilasciata alla BBC dal Direttore dell'Agenzia ONU per le Operazioni di Soccorso a Gaza, Johnatan Ging, "non vi sono stati miglioramenti di sorta" dopo i roboanti annunci fatti da israele nel mese di giugno; risulta così evidente che essi non costituissero altro che una "operazione cosmetica" intrapresa dai P.R. dello Stato ebraico per cercare di contrastare la marea di sdegno e condanna che aveva colpito Israele a fine maggio, in occasione dell'assalto alla Freedom Flottilla e al massacro degli attivisti che stavano portando aiuti umanitari a Gaza.

Come si dice a Napoli: "Passata la festa, gabbato lu Santo"; una volta che l'attenzione collettiva dell'Occidente si é spostata altrove, Israele non ha ritenuto necessario mantenere alcunché di quanto aveva promesso, esattamente come Hitler fece con il patto nazi-sovietico e come gli Usa erano abituati a fare con i tanti "trattati" con le nazioni pellerossa.

Mishaal: "Il sostegno degli Usa rende Israele sempre più aggressivo ed estremista"

Khaled Mishaal, Segretario dell'Ufficio politico del movimento di Resistenza Hamas, ha ribadito in una recente dichiarazione come la sua organizzazione sia "ansiosa" di addivenire a una ricomposizione dello "split" avvenuto con Fatah in occasione del fallito Colpo di stato da essa tentato nel 2007, augurandosi che tale risultato giunga "al più presto".

Mishaal, parlando con inviati dell'agenzia di stampa kuwaitian Kuna, ha ribadito la necessità per il popolo palestinese di pretendere uno stop alle influenze straniere che ostruiscono tale processo di riconciliazione, che spesso si presentano sotto forma di "mediazioni", ma che in realtà fanno il gioco di determinate potenze, e vogliono solo perpetuare e prolungare le divisioni del fronte interno palestinese.

Il leader di Hamas ha incontrato il presidente del Parlamento kuwaitiano Jassem Al-Kharafi, discutendo con lui di come il sostegno costante degli Usa a Israele, anche quando questo si macchia di gravi crimini e violazioni del Diritto internazionale, o quando disconosce o aggira gli impegni presi in fase di trattativa, non faccia altro che rassicurare lo Stato sionista nel convincimento che per quante numerose e gravi siano le sue enormità esse non avranno mai conseguenze, togliendo quindi ogni ragione razionale per contenersi e moderare la propria condotta.

Elezioni-farsa in Egitto, meditazioni e commenti


Lo scenario all'indomani delle "elezioni" egiziane é descrivibile con diversi aggettivi: "ridicolo", "desolante", "indifendibile", "indignante" sono solo alcuni di questi. Ovviamente quasi nessun media outlet occidentale si é preoccupato di informarne le opinioni pubbliche europee o americane: quel che accade nelle satrapie dell'Impero deve restare lontano dagli occhi e dal cuore dei bravi cittadini del 'Primo mondo'...chissà se il biondo Assange riuscirà a trovare modo di 'leakare' che:

-l'affluenza alle urne é oscillata fra il 10 e il 15 per cento degli aventi diritto; con queste percentuali in occidente non si rinnova nemmeno un'amministrazione di condominio, figurarsi un Parlamento.

-I mazzieri di Mubarak, riuniti in 'gang' dette "baltagiya", presidiavano la maggior parte dei seggi, col compito di intimidire, minacciare o allontanare con la violenza fisica i sostenitori conosciuti della Fratellanza musulmana, gruppo politico che raccoglie i maggiori consensi nell'opinione pubblica.

-Gli osservatori internazionali indipendenti che si erano recati in Egitto a spese delle loro stesse organizzazioni (visto che Mubarak non li ha invitati, né gli Usa o Israele hanno fatto clamore perché vi fosse un controllo indipendente del voto) hanno dichiarato: "Le procedure di voto e spoglio non hanno avuto la benché minima trasparenza. Chiamare "elezioni" quel che é avvenuto recentemente in Egitto é un insulto alla stessa idea di Democrazia".

"Questo ci avanza di cotanta speme!", non é una superflua pseudo-citazione, ma un'amara constatazione, visto che proprio nella terra delle Piramidi un anno e mezzo fa l'abbronzato' presidente Obama ancora pimpante e fiducioso di sé ipnotizzava ed entusiasmava le opinioni pubbliche di mezzo mondo col suo 'storico' discorso al 'Mondo musulmano'...adesso quel discorso fa il paio con la dichiarazione di Neville Chamberlain che di ritorno dal Vertice di Monaco vedeva "La pace nel nostro tempo".

Il famoso giornalista palestinese Khalid Amayreh, in un suo recente articolo ricorda che persino un presidente Usa decente come Jimmy Carter, che negli ultimi anni si é fatto apprezzare per le sue severe critiche a Israele e il suo aperto sostegno alla Causa palestinese, quando era "avviluppato" dall'ingranaggio perverso della politica estera Usa definiva il tiranno Reza Palhevi come "Il garante di un'Isola di stabilità" in Medio Oriente".

Sappiamo com'é finita.


Gli Stati Uniti devono decidere se vogliono essere una potenza colonialista, nel qual caso non possono fare a meno di sostenere satrapi corrotti e disprezzabili come lo Shah di Teheran ieri o Mubarak oggi; oppure una nazione veramente dedita ai principi di Pace, Giustizia a Tolleranza, ruolo per il quale dovrebbero disfarsi di molta zavorra e molta paccottiglia, compresi i programmi di aiuto economico e militare a regimi impresentabili e le ambizioni di estendere dall'Egitto allo Yemen al Sud-Sudan (di prossima indipendenza grazie al referendum-farsa sponsorizzato dalla Clinton) una ragnatela di basi militari e centrali di spionaggio che circondi l'africa subsahariana per asservirla ai propri appetiti da 'basso impero'.

mercoledì 1 dicembre 2010

Boicotta, disinvesti, sanziona! Veolia abbandona progetto in Israele!!


Veolia, il colosso transalpino dell'Ingegneria, ha ritirato la propria partecipazione al progetto di una metropolitana leggera/people mover che dovrebbe collegare la parte israeliana di Gerusalemme con le colonie illegali di ultranazionalisti ebrei, costruite su terra rubata ai Palestinesi, attraversando la parte Est della città, arbitrariamente occupata dai sionisti dopo la guerra del 1967.

Yoni Yitzhak, portavoce per Israele della compagnia francese, ha comunicato in uno stringato press-release che la dirigenza del gruppo ha deciso di vendere la propria quota di partecipazione al progetto alla compagnia di autobus e corriere Egged, una firm israeliana cui mancano l'esperienza e il know-how di un gruppo come Veolia.

Portavoce della compagnia maggioritaria dell'impresa, l'israeliana Dan, hanno annunciato che quereleranno la Veolia per infrazione di obblighi contrattuali, reclamando un'opzione prioritaria per la quota lasciata dai Francesi. Lo scorno e la rabbia degli israliani sono evidenti nelle loro dichiarazioni: "E' tutta colpa dei gruppi di pressione filoarabi e filopalestinesi!" dice Eitan Fixman, portavoce della Dan, sbracciandosi con i reporter stranieri, "Queste associazioni hanno fatto pressioni su Veolia fin dal 2009 e, come risultato, la ditta francese sta staccando la spina a tutte le sue partecipazioni che coinvolgano a qualsiasi livello territori occupati come Gerusalemme Est e gli insediamenti".

Ma questo non é che un risultato parziale per gli attivisti della campagna BDS, che mira a costringere Israele a cessare le sue politiche di annessione di terre occupate e Apartheid contro i Palestinesi attraverso boicottaggi, pressioni sugli investitori e infine l'applicazione di vere e proprie sanzioni internazionali; infatti portavoce del BDSMovement hanno dichiarato che il ritiro delle compagnie internazionali (anche Alstom sembra sul punto di vendere la sua quota a un consorzio israeliano) indica come l'isolamento internazionale di Israele cominci a diventare realtà e che, tramite la continua pressione su altri investitori, questo vero e proprio 'embargo del know-how' cominci a incidere sensibilmente sull'economia dello Stato sionista.

Oltre che in Francia ed Europa la compagnia per "deragliare" Veolia ed Alstom fuori dalla metropolitana leggera di Gerusalemme ha avuto contributi importanti anche negli Stati arabi, alcuni dei quali hanno minacciato di far saltare contratti ben più lucrosi se le compagnie occidentali non si fossero ritirate dal progetto.

Altro che vignette! La Società civile danese fa sentire la sua presenza in Palestina con la nuova "Danish house"!

Membri dell'Europarlamento hanno aperto la prima "Danish house" nella città di Ramallah, nella parte centrale della Cisgiordania.

La delegazione, in visita alla città nel quadro delle relazioni europee con il Consiglio legislativo palestinese, é composta dall'irlandese Proinsias De Rossa (laburista), dal francese Christian Garrigues (neogollista) e dalla danese Margrete Auken (socialista); tutti e tre gli esponenti del Parlamento, a prescindere dalle differenze politiche, sono dediti alla causa della solidarietà con la Palestina: l'irlandese De Rossa ha un'esperienza personale di opposizione all'occupazione militare inglese dell'Irlanda del Nord, Garrigues un anno fa aveva cercato di visitare Gaza, per portare l'attenzione del mondo sul disumano assedio israeliano, la Auken, ministro della Chiesa evangelica protestante e parlamentare ecologista e di Sinistra, è direttamente coinvolta nel progetto "Danish house".

E' questa una iniziativa frutto di un'organizzazione no-profit, non-governativa e politicamente indipendente che facilita il dialogo e gli scambi culturali fra i professionisti danesi e palestinesi.

Il direttore di Danish house Nathalie Khankan e il co-fondatore Ali Khillieh hanno tenuto un breve discorso presentando la storia e i successi fin qui ottenuti dal progetto. Dopo un tour della facility i delegati hanno discusso con rappresentanti dei media locali delle relazioni fra UE e Palestina, soffermandosi su come l'Unione debba fare di più e impegnarsi direttamente con il suo peso non solo politico ma anche economico e d'immagine per una positiva evoluzione della situazione odierna, totalmente in stato di stallo e immobilità.

Tutti i membri del trio parlamentare hanno auspicato che anche il coinvolgimento della Società civile europea, ad esempio con iniziative simili a quella del progetto DHIP, possano finalmente affrettare tale presa di coscienza collettiva.

Metano egiziano a prezzi di saldo per Israele: così Mubarak dà una mano a chi strangola Gaza!


Con un comunicato ufficiale tanto rapidamente distribuito quanto difficile a prendersi sul serio la dirigenza della "East Mediterranean Gas", azienda a partecipazione mista israelo-egiziana, si é affrettata a smentire i report diffusi nei giorni scorsi secondo i quali quote addizionali di gas naturale egiziano sarebbero in procinto di venire aggiunte a quelle attualmente esportate verso lo Stato ebraico.

Nel comunicato stampa della compagnia si legge: "Vi sono solide motivazioni politiche, da parte egiziana, sul non incrementare i volumi di traffico con Israele e sul dedicarsi prima di tutto alla crescente domanda da parte del mercato interno nazionale. Il prezzo di vendita del metano egiziano a Israele, inoltre, é consono all'attuale stato dei prezzi nel bacino mediterraneo; i rumors circolati in questi giorni risultano unicamente da tentativi di speculazione borsistica, che si realizzerebbe influenzando il valore dei nostri titoli attraverso la diffusione di voci tendenziose".

Il rilascio del comunicato ha seguito la pubblicazione, sul supplemento economico del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, della notizia che trattative fra i partecipanti egiziani della compagnia e quelli di Israele per la vendita di due milioni di metri cubi di metano destinati a una centrale elettrica del Negev, oltre che a impianti di raffinazione e fabbriche nell'area del Mar Morto, per un prezzo complessivo di 5 miliardi e 500 milioni di dollari Usa.

A partire dalla primavera del 2010 l'Egitto ha iniziato a vendere metano allo Stato sionista a un costo per Unità termogenica britannica (BTU) che varia fra i 70 centesimi di dollaro e il dollaro e venticinque centesimi; nonostante le assicurazioni dei vertici della EMG, esperti del settore calcolano che il costo della sola produzione del metano sia di poco meno di tre dollari per BTU. Questo accordo, totalmente iniquo e squilibrato a favore di Israele, é solo uno dei mille lacci che tengono la cleptocrazia di Mubarak (recentemente rinforzata dalle elezioni-farsa tenutesi nel week-end) avvinta al carrozzone israelo-americano, con nodi che hanno iniziato a venire stretti nel 1979 e si sono fatti via via più soffocanti e costrittivi.

Israele risparmia ogni anno cinque miliardi di dollari ricorrendo al metano egiziano "scontato", miliardi che può investire nei suoi progetti di pulizia etnica della Palestina, di costruzione di mura e barriere dell'Apartheid, negli armamenti del suo esercito e nella pianificazione di nuove aggressioni militari contro Gaza. Tanto per fare un esempio di un prezzo realmente "consono col mercato": recentemente il Qatar ha chiuso un contratto con la Corea del Sud che prevede un prezzo di oltre dodici dollari (12,10) per BTU.