Subito dopo la diffusione della notizia del vigliacco attentato esplosivo al Ministero della Sicurezza siriano la nostra redazione si é messa in contatto col giurista Ali Reza Jalali, che ci ha omaggiato delle sue riflessioni in merito, che pubblichiamo come al solito con grande piacere
La notizia dell'uccisione del Ministro della Difesa siriano, generale Dawood Rajha, e altri esponenti di spicco del Governo, ha destato molto scalpore in tutti gli ambienti politici: dalle ambasciate filosiriane di Mosca, Pechino e Tehran, ma anche presso i Paesi occidentali. Questa infatti è probabilmente la prima vittima eccellente della guerra civile siriana, portata avanti all'interno del Paese arabo-mediterraneo dalle fazioni di opposizione quali il cosiddetto Esercito Siriano Libero con base in Turchia. Il governo di Damasco ha subito puntato il dito contro l'opposizione armata e la conferma è arrivata anche dalle agenzie ufficiali, che hanno confermato la rivendicazione del gruppo armato siriano, composto principalmente da mercenari stranieri ed estremisti delle milizie wahabite sparse per il mondo arabo.
Non è un caso che la prima rivendicazione sia stata fatta tramite un'agenzia di informazione turca, visto che il governo di Erdogan, ha una grande responsabilità nell'aggressione contro il Paese arabo governato dal presidente Assad. Molti analisti, simpatizzanti dell'opposizione siriana, hanno subito voluto sottolineare il fatto che i ribelli sono giunti ad uno sviluppo tale nella guerra contro il regime, da permettersi il lusso di colpire personaggi chiave come appunto il Ministro della Difesa. Insomma, secondo l'opinione di questi "intellettuali", il regime siriano è alle corde e la caduta di Damasco sarebbe questione di qualche settimana. Ovviamente, tali considerazioni sono assolutamente inattendibili, visto che la perdita di un ministro, se dal punto di vista mediatico è importante, non lo è dal punto di vista del conflitto in corso. La guerra siriana sin dall'inizio si è caratterizzata su due fronti: il conflitto mediatico e quello sul campo.
Evidentemente, per via della propaganda pesante dei media egemoni sul panorama mondiale, ovvero quelli anglosassoni influenzati dal sionismo internazionale, e le loro succursali arabe (Al Arabya e Al Jazeera), il regime siriano è passato come perdente dal primo momento. Vorrei ricordare che uno dei principali esponenti dell'opposizione siriana, Burhan Ghalioun, aveva previsto la caduta di Assad nel mese del Ramadan dell'anno scorso (estate 2011). Ma la guerra "vera", quel sul campo, è un'altra cosa. Sul terreno l'esercito regolare ha sconfitto pesantemente i terroristi a Homs (inverno scorso), dove si progettava la creazione della "Bengasi siriana". Da allora in poi, gli attacchi si sono concentrati in villaggi periferici e solo saltuariamente hanno riguardato l'hinterland di grandi città. A Damasco e Aleppo l'opposizione ha colpito solo con attentati terroristici, come quello in cui è morto il ministro Rajha.
La storia ci insegna che nessun regime, con un minimo di sostegno popolare, è caduto per l'assassinio di un ministro. Addirittura in Iran nei primi anni '80, la furia terrorista israelo-americana, la stessa che sta colpendo la Siria oggi, uccise in un solo colpo personaggi del rango di Rajai e Bahonar, rispettivamente presidente della Repubblica e Primo ministro dello Stato rivoluzionario iraniano. Il regime è forse caduto? Ovviamente, no. Tutte le analisi superficiali che vorrebbero creare un legame diretto tra l'uccisione di un ministro e la presunta debolezza di un regime sono errate, e la fedeltà delle masse siriane, sunnite, sciite, cristiane ecc. al presidente Assad lungo questi mesi difficili dimostrano la pochezza di questi commenti.
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