giovedì 21 aprile 2011

Le parole della madre di Vittorio Arrigoni: "Mio figlio é ancora vivo nella memoria e nell'esempio che lascia"


Forse é vero che per "diventare un eroe", per assurgere all'onore delle cronache, per diventare protagonista di servizi televisivi, sia quasi necessario morire, ma quando l'obiettivo di una persona é semplicemente quello di rimanere un essere umano, é vero lo stesso? Morire é necessario anche in quel caso?

Mi ricordo mio figlio Vittorio a Natale del 2005, detenuto e incarcerato dalla polizia sionista all'Aeroporto 'Ben Gurion', ricordo le cicatrici lasciate sui suoi polsi dalle manette, ricordo l'impossibilità di entrare in contatto col Consolato italiano, ricordo il processo-farsa a cui venne sottoposto. E ricordo la Pasqua successiva, quando attraverso il Ponte Allenby al confine tra West Bank e Giordania la polizia di Tel Aviv lo bloccò, lo mise su un autobus e, in sette contro uno, lo sottopose a un pestaggio, uno dei sette che lo picchiarono, ricordava lui, era una donna.

Vittorio era indesiderato nello Stato ebraico, perché ricordava a questo Stato su che menzogne e su che ipocrisia era fondato, come facevano e continuano a fare tanti altri volontari internazionali, che israele considera altrettanto "sovversivi" e "pericolosi". Come la volta in cui, dimostrando col suo amico Gabriele a fianco degli abitanti del villaggio di Boudrous contro il Muro dell'Apartheid, si era sentito chiedere da questi che insegnasse loro una canzone italiana, una canzone di lotta e, allora, aveva fatto del suo meglio per insegnare loro il ritmo e le parole dell'inno partigiano 'Bella Ciao'.

Più tardi, nel 2008, al largo di Rafah un commando sionista aggredì la barca da pesca su cui si trovava, per difendere col suo corpo il lavoro dei pescatori e il loro diritto a non morire di fame. Venne imprigionato a Ramleh e rimandato a casa senza nulla tranne i vestiti che indossava; nonostante tutto, non posso che ringraziare i rappresentanti dei media che si sono avvicinati a me, alla mia famiglia, al nostro dolore con compostezza e rispetto, senza eccessi di alcun genere e mi hanno permesso di parlare di Vittorio e presentarne la figura e la vita e gli ideali, spiegando le scelte che aveva fatto.

Questo mio figlio io lo sento ancora oggi vivo, come il chicco di grano caduto a terra e 'morto' per portare un raccolto più grande. Io vedo e sento già tutto questo nelle parole dei suoi amici, soprattutto dei più giovani; attraverso Vittorio, attraverso il suo esempio, hanno conosciuto e capito come si possa dare un senso e un significato alla parola 'Utopia', come soddisfare la fame e la sete di giustizia, come dare dignità e significato alle parole 'fratellanza' e 'solidarietà' e come sia possibile, come spesso ripeteva Vittorio, trovare 'tante Palestine anche dietro la porta di casa'. La presenza viva e vitale di Vittorio cresce e si intensifica ora dopo ora, come un vento che spiri con fierezza da Gaza e attraversi tutto il Mediterraneo, che lui amava così tanto, per portatre un messaggio di speranza e di amore ai senza voce, ai deboli, agli oppressi, passando il testimone a una nuova generazione.

Restate umani,

restiamo umani.


Egidia Beretta Arrigoni.

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