Immaginate di perdere un anno della vostra vita, di venire strappati agli affetti, alla famiglia, al lavoro, all'impegno e alle passioni che rendono la vostra vita feconda e degna di essere vissuta, immaginate che tutto ciò succeda senza motivo, senza una "spiegazione" apparente, soltanto in ragione dell'odio che qualcuno prova pregiudizievolmente contro di voi.
E' quello che é successo a Muntaha al-Tawil, la moglie del sindaco della cittadina di
al-Bireh, nella zona centrale della
Cisgiordania, una quindicina di chilometri a nord di Gerusalemme. Quasi dodici mesi fa, con uno spiegamento di uomini pesantemente armati e di veicoli blindati totalmente sproporzionato al fine, le forze di 'sicurezza' dello Stato ebraico, maestre indiscusse di soprusi e intimidazioni, facevano irruzione in casa al-Tawil, rapendone con la forza la quarantunenne Muntaha al-Tawil, moglie dello Sceicco Jamal al-Tawil.
Tradotta nella galera di Talmund per Muntaha iniziò subito un calvario di abusi, violenze fisiche e psicologiche, che si protrassero dal giorno dell'arresto (lunedì) fino alla domenica successiva (14 febbraio), quando venne portata di fronte alla "corte canguro", l'impostura di tribunale che i sionisti usano per perseguitare e opprimere i Palestinesi. Come giustamente ha detto Ameer Makhoul di fronte a un tribunale dello Stato ebraico tutti i Palestinesi sono colpevoli per definizione, il loro reato é, appunto, quello di essere palestinesi.
Citando fumose e non circostanziate "attività terroristiche" il presunto giudice sionista mise Muntaha in "carcere preventivo" per sei mesi, periodo che per tre volte é stato esteso ogni volta di un trimestre. La strenua e agguerrita battaglia legale impostata dall'avvocato gerosolimitano
Jawad Bulos (sopra) e dal consulente legale Taghrid Jahshan del
Centro per la Difesa dei Diritti dei Prigionieri ebbero bisogno di quasi un anno prima di riuscire a ottenere la scarcerazione della donna, che nel frattempo era stata spostata nella galera sionista di Hasharon (la stessa dove viene tenuto prigioniero
Yousef Al-Zeq, bambino palestinese partorito in prigione dalla madre di cui lo Stato ebraico rifiuta la scarcerazione per l'affidamento alla famiglia).
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Nel 'democratico' Israele capita anche di nascere direttamente in prigionia... |
Per tutto questo periodo ai legali della signora Al-Tawil non é stato concesso di sapere perché essa era stata arrestata, né di analizzare le prove a sostegno delle imputazioni. Secondo la nota dottrina sionista della 'segretezza delle prove', un insulto ai più elementari principi universali del Diritto, solo agli accusatori e al giudice era stato consentito di guardare il dossier segreto dello Shin Bet in base a cui si giustificava l'arbitrario e persecutorio arresto con conseguente detenzione.
Alla sua uscita dal carcere sionista Muntaha al-Tawil ha dichiarato che per il popolo di Palestina é sempre più urgente ricomporre un'unità nazionale per opporsi con tutte le forze agli abusi e alle prevaricazioni degli occupanti sionisti, ha inoltre rilasciato conferme sul regime di abusi e torture che vige regolarmente nelle carceri israeliane, che per le donne comprende anche perquisizioni corporee umilianti e ripetute, mirate a ledere la loro autostima.
Muntaha al-Tawil, madre di quattro figli, é attiva nelle organizzazioni sindacali palestinesi, difendendo i diritti di quei suoi compatrioti che sono sfruttati come manodopera sottopagata e priva di diritti in Israele, inoltre é una studentessa modello di Scienze sociali all'
Università Aperta di Gerusalemme, nonché un membro attivo di diversi gruppi per il rispetto dei Diritti umani, che si sono prodigati in iniziative e pressioni per ottenere il prima possibile il suo rilascio dalla prigionia.
Il fatto che il marito di Muntaha, lo Sceicco al-Tawil, abbia passato oltre 13 anni nelle galere di Israele, dà una misura del successo di questi sforzi, che hanno liberato la signora "appena" dopo 12 mesi.