martedì 15 febbraio 2011

Da Via San Luca a Piazza Tahrir: riflessioni genovesi sull'Egitto e il futuro della sua Rivoluzione

Ieri incontro-dibattito da Assolibro, nel centro storico di Genova; quattro relatori, pubblico piuttosto numeroso per un pomeriggio di lunedì, molto interessato, discretamente vivace.
Lo spazio incontri di Assolibro in via San Luca (immagine di repertorio)
Uno dei relatori fa notare che resi i dovuti e fondamentali omaggi ai giovani che hanno organizzato, dal 2008 al 25 gennaio scorso, la rete di contatti informatici che ha dato abbrivio al movimento di protesta egiziano esso ha "detonato" solo e soltanto quando a esso si sono uniti, in massa, gli scioperanti delle fabbriche tessili, delle industrie, insomma, la Classe Lavoratrice.

I giovani sono stati la scintilla, Twitter e Facebook la miccia, ma, come tante, tante volte, la "gente che lavora" ha fornito la massa critica, l'esplosivo che ha fatto da mina sotto il trono del faraone.

Gli stessi blogger lo ammettono, lo riconoscono, leggo adesso una dichiarazione di Hossam El-Hamalawy che recita: "La prossima piazza Tahrir é nei posti di lavoro"; si sentono, si leggono parole che erano state date per morte e sepolte o quantomento per disperse negli ultimi quarant'anni, dal '68 in avanti: "democrazia diretta", "mobilitazione permanente", "organizzazione di consigli".

Benvenuti nel XXI Secolo.

Ma torniamo al qui e all'ora, anzi al "là", all'Egitto...tutti nel paese sanno che Washington, Tel Aviv e Ryiadh, per motivi e finalità diverse, hanno in uggia la nascita di una effettiva democrazia all'ombra della Sfinge, a questi avversari che possiamo considerare "irriducibili" (a meno che gli Usa non smettano di essere una potenza imperialista/neocolonialista, che Israele non smetta di essere uno stato etnocratico e militarista e che l'Arabia Saudita non smetta di essere una dinastia conservatrice e retriva, il che ora come ora é impossibile in tutti e tre i casi), a questi, dicevamo, bisogna aggiungere i "compradores" che erano abituati a fare buoni, ottimi affari con l'Egitto di Mubarak, che rappresentano una minaccia minore, ma che potrebbe dare molto fastidio se si unisse con una delle minacce maggiori (più probabilmente con le prime due).
Sami Hafez Anan (a sinistra) col Generale usa Steve Whitcomb.

Aspettiamoci pure che "almeno" un generale partecipi alle elezioni presidenziali: su di lui convergerebbe il supporto di tutta la classe privilegiata sotto Mubarak, sarebbe l'unica scelta sensata, Omar "il torturatore" Suleiman non ha alcuna chance di coalizzare attorno a sé alcun genere di seguito, molto molto meglio puntare su un cavallo militare, propabilmente Sami Anan, 63 anni, abbastanza 'giovane' per regnare un paio di mandati, in ottimi rapporti con il Pentagono, anche migliori di quelli che possa vantare il Maresciallo Tantawi.

Si scatenerà una corsa pazza a corteggiare la Fratellanza Musulmana: ci proveranno i Turchi, per estendere la loro influenza regionale e per rafforzare la posizione Erdoganiana dell'Islam politico moderato, ci potrebbe provare l'Iran, che ovviamente cercherà di puntare più sul sostegno ai Palestinesi e sull'affratellamento con Hamas per smorzare e smussare le divergenze dottrinali, ci proverà (non sappiamo ancora quanto goffamente) anche la CIA, forse spolverando qualche vecchio contatto "religioso" dell'epoca del 'grande gioco' della Jihad anti-sovietica (che pescava a piene mani negli 'scontenti' della Fratellanza Musulmana -che non ha mai controllato granché quanto ad ali o apparati militari-) e chiaramente ci proverà anche la Casa di Saud, con adeguato contorno di mazzi di dollaroni fruscianti.

I giochi sono aperti e ogni risultato é possibile: potremmo vedere una sopravvivenza di Mubarakismo sotto un altro nome e un altro viso (ipotesi pessima) o la nascita di un nuovo tipo di democrazia partecipata (ipotesi tanto ottima da sembrare quasi velleitaria) o un qualunque genere di risultato intermedio.

Ma quanto più il risultato nei fatti si discosterà dall'ipotesi pessima (Mubarakismo sotto ogni altro nome) allora tanto più fortemente il Nuovo Egitto porrà una questione praticamente inscindibile con qualunque genere di rottura, piccola o grande, con gli ultimi trent'anni di politica estera del Cairo: il rapporto con la Striscia di Gaza e con Israele.

Il controllo non-militare del Sinai, la vendita di quantità immani di gas naturale allo Stato ebraico a prezzi a dir poco 'scandalosi' e il mantenimento dello strangolamento economico sul ghetto assediato di Gaza sono tre delle questioni che spiccano, ma non necessariamente le uniche

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