Crolla come un castello di carte la gabbia imperialista e colonialista costruita dagli Usa attorno al Mondo arabo, per esclusivo beneficio e vantaggio dello Stato dell'Apartheid del "popolo eletto"; alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato l'abbronzato Obama e la sempre più avvizzita e rugosetta Dama Clinton ostentano sorrisoni e si augurano tutto il meglio per il popolo egiziano, ma dietro le porte chiuse devono sorbirsi le sfuriate e i cicchetti della Lobby a Sei Punte: "Che cosa vi abbiamo fatto eleggere a fare, se non siete capaci nemmeno di mantenere sul trono Mubarak? Quasi quasi sarebbero stati meglio il pilota e l'ammazza-alci al vostro posto!!".
Pare quasi di sentirli, vero?
A Tel Aviv, capitale mondiale dell'Apartheid, l'atmosfera é tesa e tutti gli sguardi sono volti oltre il Sinai: la democrazia é arrivata in Egitto e con essa la minaccia, terribile per uno Stato antidemocratico e razzista, che ottanta milioni di arabi facciano di testa loro, utilizzino il libero arbitrio che Israele teme come la strega di L. Frank Baum l'acqua saponata, capace di scioglierla in una macchia ribollente.
In Iran, in Libano, in Irak, In Palestina, ogni volta che in Medio Oriente si esercita la democrazia i risultati non sono mai buoni per lo Stato ebraico, mai, mai, mai.
Per puntellare il traballante reuccio, ecco che Washington mobilita gli alti papaveri militari, spedendo la prossima settimana l'Ammiraglio Mike Mullen in tutta fretta ad Amman; l'Ammiraglio nel Deserto (sembra una novella di Dino Buzzati) dovrà fare il punto della situazione e poi riferirla ai suoi superiori israeliani: Benji Netanyahu, il criminale di guerra Shimon Peres e il trombato Gabi Ashkenazi, che al contrario di qualche mese fa sarà ormai felice di avere già la valigia in mano, visto che in tal modo sarà il suo successore a dover affrontare la situazione ormai in generale squagliamento.
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