La famiglia di Gilad Shalit, il membro delle forze di occupazione sioniste catturato dalla Resistenza palestinese durante l'operazione "Miraggio che Scompare" il 25 giugno 2006, hanno esteso un comunicato stampa nel quale attaccano senza mezzi termini l'attuale Premier di Tel Aviv Benji Netanyahu per l'inazione che sta inutilmente prolungando la detenzione del loro congiunto, tenuto in una località segreta della Striscia di Gaza.
Noam Shalit, padre del prigioniero, ha comunicato alla radio israeliana di "averne abbastanza di scuse e giustificazioni", e di "pretendere" che Netanyahu acconsenta alle richieste pervenute da parte Palestinese per assicurare un pronto rilascio di suo figlio, che avrebbe potuto essere liberato mesi e mesi fa, attorno al quarto anniversario della sua cattura.
Il comunicato della famiglia Shalit é stato esteso nel 1700esimo giorno di prigionia di Gilad, la cui esistenza in vita e in normali condizioni di salute é stata a più riprese confermata dai suoi catturatori tramite l'invio di tre lettere di suo pugno, di una audiocassetta con incisa la sua voce e di un DVD contenente una sua sequenza filmata.
In cambio della liberazione del prigioniero il fronte della Resistenza palestinese, guidato dalle Brigate Ezzedin al-Qassam, che hanno materialmente portato a buon fine l'audace cattura, ha richiesto la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi minorenni e di tutte le donne palestinesi incarcerate da Israele, prigionieri che, a differenza di Shalit, vengono quotidianamente sottoposti ad abusi, indegnità e torture psicologiche (specialmente la molestia sessuale e la minaccia di stupro, costantemente paventata alle donne e alle ragazzine).
Il caporale Shalit delle forze armate sioniste venne catturato con un attacco coordinato al mezzo corazzato da cui la sua squadra si stava preparando a violare il territorio della Striscia di Gaza per spargere il terrore nella popolazione palestinese e contribuire allo stillicidio di attacchi e raid che continuano anche oggi contro i cittadini dell'enclave costiera: nell'attacco due soldati sionisti vennero uccisi e altri tre feriti.
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Le autorità egiziane hanno liberato nella notte tra sabato 19 e domenica 20 febbraio ben quattordici cittadini palestinesi che erano detenuti nelle carceri del paese per motivi politici, arrestati dal regime dell'ex-autocrate del Cairo Hosni Mubarak per compiacere i propri padroni americani e sionisti.
Emad al-Sayyed, portavoce dei parenti dei Palestinesi detenuti in Egitto, ha letto una dichiarazione secondo la quale quattro dei liberati sarebbero stati rilasciati dalla prigione cairota di Aqrab, mentre gli altri dieci da quella di Burj al-Arab, ad Alessandria.
I detenuti sono stati riuniti in gruppo, ma per ora la loro posizione é sconosciuta; probabilmente, come per i dissidenti sovietici che venivano liberati dal cosiddetto "Arcipelago Gulag" stanno venendo 'tirati a lucido' in qualche località segreta, in modo che i segni delle privazioni e delle sevizie che hanno subito in questi anni non siano troppo visibili.
Interrogato sul numero di Palestinesi rimanenti nelle carceri egiziane Al-Sayyed ha detto che, in mancanza di statistiche ufficiali, la sua organizzazione si basa su stime prudenziali che parlano di circa una quarantina di prigionieri ancora detenuti nel paese; il regime di Mubarak, nei suoi 32 anni di vita, era riuscito a sopravvivere solo grazie al terrore politico generalizzato e alla presenza di uno spietato sistema carcerario e di tortura, che aveva messo a disposizione anche del Presidente Bush e del suo sistema di rapimenti e trasferimenti illegali di prigionieri attraverso l'Europa e il Medio Oriente.
I quattordici Palestinesi liberati si uniscono a quelli che erano riusciti a evadere durante la rivolta anti-Mubarak e a tornare rocambolescamente alla loro Patria e alle loro case.
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La Jihad islamica in Palestina ha attaccato duramente gli Stati Uniti per avere stravolto col loro veto la seduta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui sarebbe stata approvata a larghissima maggioranza (14 voti a 1) la risoluzione di condanna degli insediamenti ebraici illegali in Cisgiordania, costruiti su terra palestinese occupata con la violenza e l'arroganza dell'impunità che proprio il supino e codardo sostegno americano a Israele rende possibile.
Khaled al-Batesh, leader dell'organizzazione di Resistenza, ha dichiarato in una conferenza stampa tenutasi nelle scorse ore che il veto é stato uno schiaffo in piena faccia per coloro che avevano "scommesso" sul successo del cosiddetto 'processo di pace' che si é rivelato solo un comodo scudo dietro il quale i sionisti razzisti hanno potuto programmare e portare avanti le loro aggressioni alla Palestina e ai Palestinesi.
Al-Batesh ha ribadito che contro l'Entità sionista e il proliferare canceroso dei suoi insediamenti illegali non vi é "alcuna speranza di pace o di accordo" e che la fazione Fatah, vista e verificata l'ipocrisia e la parzialità di quello che avrebbe dovuto essere l'onesto mediatore americano dovrebbe abbandonare il tavolo dei negoziati e riprendere la via della lotta a fianco di quelle organizzazioni e di quei gruppi che non si sono lasciati sviare e rabbonire dalle illusorie promesse di Israele e dell'Occidente.
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Il capo dell'Authority palestinese per Frontiere e Dogane, Ghazi Hamad, ha annunciato al termine dell'apertura temporanea di Rafah, venuta a concludersi nella serata del 20 febbraio, che il varco di confine verrà riaperto martedì 22, permettendo a circa 300 Palestinesi al giorno di recarsi in Egitto.
Nonostante le urgenze più pressanti siano state in qualche modo 'smaltite' durante l'apertura del week-end Hamad ha segnalato come tutti coloro che abbiano particolari necessità possano registrarsi fin da oggi al terminal di Rafah per venire 'smistati' attraverso un corridoio preferenziale.
Una volta raggiunta la normale operatività del varco non vi sarà più nessun bisogno di registrazioni speciali e tutti coloro che vogliano o necessitino di transitare verso l'Egitto e vice versa saranno liberi di farlo. L'apertura temporanea nel week-end ha dato un importante sfogo a una situazione che, nei venti giorni di chiusura coincidenti con la fase più acuta delle proteste anti-Mubarak era diventata particolarmente preoccupante, a causa delle innumerevoli criticità causate a Gaza dalla spietata politica di strangolamento imposta all'enclave costiera dallo Stato ebraico.
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Dopo la strage commessa giovedì scorso, in cui tre disarmati e innocui pescatori palestinesi sono stati fatti a brandelli sulla spiaggia di Beit Lahia dalle raffiche di mitragliatrice e di cannoncino esplose a loro segno dalle motovedette della Marina più (im)morale del mondo un nuovo grave abuso colpisce la comunità dei lavoratori della Striscia di Gaza, di cui altri tre membri, sempre pescatori, sono stati rapiti da militari dello Stato ebraico insieme al loro natante e trasportati in una località ignota.
Fonti locali hanno riportato che un'unità della Marina sionista ha rapito i tre pescatori poco dopo che erano scesi in mare con la loro imbarcazione, mentre questa era ancora molto vicina alla spiaggia. Il motivo del rapimento é chiaro: dopo avere ucciso i pescatori sulla spiaggia Israele vuole terrorizzare i loro colleghi in modo da scoraggiarli definitivamente dallo scendere in mare e interrompere così una volta per tutte la pesca, che costituisce una grave "infrazione" allo strangolamento economico di Gaza imposto dai generali sionisti, che può funzionare "adeguatamente" solo se l'enclave costiera é totalmente dipendente dal cibo importato dall'esterno.
In questo senso assumono un senso e una giustificazione tutti i ripetuti e crudeli attacchi contro ogni struttura e ogni categoria di lavoratori di Gaza suscettibili di produrre autonomamente cibo: contadini nei loro campi, pescatori e imbarcazioni e persino il caseificio recentemente bombardato e distrutto dai vigliacchi piloti dell'aviazione israeliana, ormai abituati a fare "tiro a segno" con aerei da centinaia di milioni di dollari contro bersagli civili privi della benché minima difesa.
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Ismail Radwan, portavoce del Movimento di Resistenza Hamas, ha sostenuto in un recente comunicato che il veto statunitense alla bozza di Risoluzione Onu contro l'attività israeliana di espansione e costruzione di colonie ebraiche illegali dimostra "oltre ogni ragionevole dubbio" la posizione ipocrita e parziale di Washington, costituzionalmente incapace di assumere un atteggiamento di disapprovazione e condanna degli abusi e dei torti perpetrati dallo Stato sionista.
Il veto americano, ha commentato inoltre Radwan, costituisce l'ennesimo schiaffo subito dalla fazione Fatah e dimostra come i tentativi di appellarsi a "parti terze" nella speranza di ottenere giustizia per i Palestinesi siano in realtà vane chimere, inconsistenti come il tanto vantato 'Processo di Pace' che in realtà serve solo come paravento a Israele per portare avanti piani di giudaizzazione e di pulizia etnica della Cisgiordania, del Negev e di Gerusalemme Est sempre più profondi e accurati.
"Adesso anche l'ultima 'foglia di fico' é caduta, Fatah dovrebbe trarne le conseguenze e ritirarsi definitivamente dall'impostura di negoziati e trattative; solo con una risoluta ripresa delle operazioni di Resistenza, che comprendano e contemplino anche l'opzione militare sarà possibile segnare dei punti in favore della Causa nazionale palestinese e recuperare almeno parte dell'onore e della credibilità inutilmente compromesse e sperperate dalla disgraziata firma degli 'Accordi di Oslo' fino ad oggi".
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Mentre i mistificatori dell'informazione venduta agli interessi imperialisti e sionisti, i famigerati chef delle 'polpette avvelenate' cercavano disperatamente di 'inventarsi' un'altra improbabile "rivoluzione verde" in Iran a partire dalla gazzarra di poche dozzine di persone e la patetica, ridicola foto di un cassonetto bruciato, l'ondata di Rivolta anti-colonialista e anti-imperialista si estendeva a scuotere un altro pilastro del dominio angloamericano in Medio Oriente, l'isola di Bahrein.
Una volta rinomata solo per la pesca delle perle (ne parlò persino Marco Polo nelle sue memorie) è oggi un bastione strategico della ragnatela a stelle e strisce che avviluppa il Medio Oriente per tenerlo soggiogato e per succhiare le sue risorse naturali a esclusivo vantaggio dei vampiri di Wall Street e altri consimili parassiti, e, grazie al Quartier Generale della Quinta Flotta Usa, é una base d'appoggio indispensabile per qualunque iniziativa militare contro la Repubblica Iraniana.
Seguendo alla lettera il manuale per il controllo neocoloniale del Terzo Mondo gli Stati Uniti hanno individuato il gruppo etnico/sociale/religioso minoritario dell'isola e lo hanno messo a capo di una popolazione che ne é separata da notevoli differenze (il 30 per cento degli abitanti é musulmano sunnita contro il 70 per cento di sciiti), in modo che la minoranza al potere, per rimanervi e per resistere alle richieste della maggioranza, si leghi sempre più disperatamente ai suoi padroni imperialisti yankee.
Visto che la politica di reazioni graduali di Ben Ali e di Mubarak ha portato a risultati disastrosi questa volta gli imperialisti, nello specifico grazie all'ex-agente britannico Ian Henderson, "consigliori" di Sicurezza di sua maestà Hamad al-Khalifa e per i trent'anni precedenti Capo dei Servizi locali, hanno suggerito una terapia "shock and awe" che si é tradotta subito in un bagno di sangue con raffiche di mitragliatrice partite dai carri armati americani M60A3 e dai blindati M113 e indirizzate ad altezza d'uomo, senza colpi d'avvertimento, senza inviti a disperdersi od arretrare, contro la folla di dimostranti che avanzava verso piazza delle Perle, per occuparla come piazza Tahrir era stata occupata dai manifestanti del Cairo.
Con la situazione tuttora fluida e in costante evoluzione é chiaro che un blog come PALAESTINA FELIX non possa coprire le notizie che arrivano dal Golfo Persico a ciclo continuo, riservandosi perciò il compito di fare "il punto" della situazione man mano che svolte decisive modifichino sensibilmente l'equilibrio delle forze in campo, esattamente come abbiamo fatto nel caso dei movimenti tunisino ed egiziano; vogliamo che fin dall'inizio però i nostri vecchi e speriamo anche nuovi lettori abbiano ben chiaro in mente che gli attuali movimenti di protesta per la Democrazia non siano "venuti su come funghi" dall'oggi al domani sulla scorta unicamente dell'esempio delle manifestazioni nordafricane, come dice il dirigente del fronte bahreini per la democrazia in esilio a Londra, Saeed al-Shahabi, la cui voce si può sentire nel primo video: "Abbiamo richiesto un dialogo per le Riforme almeno da dieci anni, senza risultato, e ora, dopo aver sparato sulla nostra gente, all'undicesima ora, il Re e i suoi parenti vorrebbero 'dare il via a un dialogo nazionale' per evitare le peggiori conseguenze dei loro atti criminali".
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Come in precedenza annunciato gli Stati Uniti hanno usato il loro potere di veto all'ONU, l'anacronistica e assurda garanzia che da sessantasei anni rende cinque paesi nell'assise che dovrebbe rispecchiare le istanze di tutti i popoli e le nazioni della Terra "più uguali degli altri", come i maiali nella celebre novella didattica di George Orwell, per silurare e affondare il progetto di Risoluzione che, con il voto positivo di tutti gli altri membri permanenti e temporanei del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, avrebbe rappresentato una forte presa di posizione morale e legale contro la tracotanza e l'impudenza con cui lo Stato ebraico continua imperterrito nella sua politica di esproprio, colonizzazione e giudaizzazione forzata di territori che non solo la Storia e il Diritto assegnano ai Palestinesi (questo é vero di TUTTA la Palestina, anche quella occupata nel 1948 con la Nakba), ma persino le ipocrite e squilibrate trattative post-Oslo riconoscono come terreno del fantomatico "Stato Palestinese", quello che Israele non ha nessuna intenzione di vedere fondato e riconosciuto, figuriamoci quanto voglia rispettarlo e conviverci.
Persino stati totalmente infiltrati da sodali e fiancheggiatori della lobby sionista ai più alti livelli come il Regno Unito, la Germania della Merkel e la Francia di Sarkozy hanno dichiarato, nell'annunciare le loro intenzioni di voto all'ONU, che ritengono gli insediamenti illegali di coloni ebrei fondamentalisti come una "gravissima violazione del Diritto internazionale". Le leggi e i protocolli vigenti infatti impediscono esplicitamente a uno Stato che occupi territori stranieri di trasferirvi popolazione e/o di annetterlo unilateralmente, fu proprio su questa base, infatti, che la dichiarata annessione del Kuwait come "diciannovesima provincia dell'Irak", annunciata da Saddam Hussein dopo la sua invasione dell'Emirato nell'agosto 1990 venne refutata dall'ONU, portando all'attacco militare multilaterale contro Bagdad.
Israele, ventun anni dopo, continua imperterrito a fare la stessa medesima cosa che voleva fare Saddam Hussein, ma nessuno si azzarda a scatenare "Tempeste nel Deserto" contro di lui. Come si potrebbe, visto che grazie all'AIPAC e alle altre agenzie della lobby sionista il Governo a stelle e strisce é praticamente nel taschino di Benji Netanyahu? Ancora più insopportabile di una chiara e aperta dichiarazione di sostegno ai crimini sionisti é la vigliacca e meschina giustificazione tentata dall'ambasciatrice Usa all'ONU, Susan Rice che ha avuto la faccia tosta di dichiarare che: "Il nostro veto non significa che gli Stati Uniti o l'Amministrazione Obama sostengano il processo di colonizzazione dei territori palestinesi".
Abbiamo già avuto in passato, con il ridicolo e umiliante balletto sul "congelamento per sei mesi" delle attività di colonizzazione (da ottenersi in cambio di dozzine di cacciabombardieri che Israele avrebbe poi avuto agio di impiegare contro Gaza, contro il Libano o contro la Siria o l'Iran), quanto efficace e rispettato sia l'approccio dell'abbronzatissimo Presidente Obama nelle sue relazioni con Tel Aviv e i suoi crimini. Nabil Abu Rdainah, rappresentante all'ONU dell'ex Presidente dell'Anp Mahmoud Abbas (tuttora facente funzione) ha stigmatizzato la decisione Usa indicando come, seppure la Risoluzione Onu non avrebbe certo avuto il potere di far sparire le centinaia e centinaia di costruzioni illegali che occupano ed espropriano ettari su ettari di terra cisgiordana, essa almeno avrebbe potuto costituire un primo gradino di un processo di condanna, disconoscimento e infine sanzione internazionale di Israele, una forma di pressione psicologica.
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